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Grazie al Genoa l'ex allenatore della Nazionale torna su una panchina di serie A dopo otto anni e dopo quattro stagioni in cui è durato pochissimo nelle tre squadre con cui ha provato a rimettersi in gioco. Ma ha ancora qualcosa da dare, non soltanto in campo...
Con Cesare Prandelli il Genoa ha ingaggiato un allenatore di grande nome e dal passato prestigoso, di solito non il profilo ideale in squadre che devono lottare per la salvezza. Per questo quella dell’ex commissario tecnico azzurro è davvero una grande sfida: non perché a 61 anni abbia qualcosa da dimostrare, ma perché fare bene in contesti ambientali dalle ambizioni molto diverse è sempre un’impresa, a maggior ragione per uno come Prandelli che al di là degli schemi è sempre stato considerato uno da progetto, non l’allenatore-mestierante che in due partite mette a posto tutto individuando i punti di forza da valorizzare.
Non si va lontano dal vero ricordando che Prandelli è rimasto in pratica al Mondiale brasiliano, a quella sconfitta con l’Uruguay che chiuse un torneo a cui l’Italia si era avvicinata piena di speranze e di positività, senza le solite polemiche. La fine di un quadriennio in cui Prandelli aveva fatto riguadagnare agli italiani l’amore per la loro Nazionale, portando risultati (finale all’Europeo 2012, terzo posto in Confederations Cup) ma soprattutto un’immagine serena e non divisiva, molto gradita anche ai giocatori. Che apprezzavano quel c.t. che li faceva senture parte di qualcosa di più grande, fino al punto di far allenare la squadra su un campo confiscato alla ‘ndrangheta (a memoria non pare che tanti altri l’abbiano fatto) e di contestare l’italiano becero che fischiava gli inni nazionali delle avversarie degli azzurri. Poi nella trasferta brasiliana furono sbagliate molte cose, a partire dalla scelta e dalla gestione del ritiro, quasi in stile olandese (ma senza essere olandesi, dettaglio non trascurabile), e Prandelli a Natal salutò insieme ad Abete. Dando le dimissioni subito: il confronto con Ventura è imbarazzante e Prandelli spera che sia diverso anche il ritorno in serie A visto quanto fatto da Ventura al Chievo.
Certo è che Prandelli viene da quattro anni difficili, con tre panchine accettate forse senza troppa convinzione e mantenute soltanto per poche partite: 16 al Galatasaray, preso in mano troppo presto, 8 al Valencia e 12 all’Al Nasr negli Emirati Arabi. Poi un allenatore non si può giudicare soltanto dagli esoneri, perché quelli toccano a quasi tutti: lo stesso Prandelli iniziò la sua carriera da tecnico con una retrocessione (Atalanta) e le sue prime dimissioni (Lecce), in attesa di cambiare passo con Verona e Venezia. Cosa ha da dare ancora Prandelli al calcio? La carriera di tanti ex commissari tecnici indurrebbe a previsioni negative, ma Prandelli è sempre sembrato qualcosa o qualcuno di diverso. Un uomo con i suoi valori catapultato in un mondo che questi valori spesso li schernisce, quando li riconosce. Il calcio italiano ha bisogno di lui, e forse anche il Genoa.
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