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La squadra allenata da Klopp sta dominando la Premier League ed ha forti possibilità di mettere fine ad un digiuno casalingo incredibile, visto che stiamo parlando di una dei club più famosi e ricchi del mondo. L'ultimo campionato vinto risale ai tempi di Ian Rush...
La straordinaria partita contro l’Arsenal e il vantaggio abissale sulle inseguitrici nella classifica di Premier League hanno ribadito con chiarezza che questo è l’anno del Liverpool. Almeno in patria. Dove sta marciando a ritmi quasi da Juventus, 17 vittorie e 3 pareggi in 20 partite, ma con la significativa differenza che lo fa in un campionato in cui almeno 4 rivali (i due Manchester, il Chelsea e il Tottenham) hanno una rosa paragonabile per valore tecnico e di mercato. Rispetto alla già forte squadra dell’anno scorso, quarta in Premier League ma soprattutto finalista di Champions, sono arrivati gli strapagati Alisson (dalla Roma per circa 70 milioni di euro), Naby Keita (dal Lipsia per 60), Fabinho (dal Monaco per 50) e Shaqiri (dallo Stoke City per 15). Riferibile al 2018, anche se ha giocato nel Liverpool la seconda parte della scorsa stagione, l’ingaggio di Van Dijk, pagato 70 milioni al Southampton. Insomma, bravo Klopp ma quest’anno nessun club al mondo ha speso tanto (le cessioni hanno fruttato pochissimo) per soddisfare i desideri del suo allenatore. Che non ha ancora trovato una collocazione per Naby Keita, mentre negli ultimi tempi Fabinho e Shaqiri sono diventati sempre più importanti. Ma questa è attualità, che non deve far perdere di vista l’importanza storica di un campionato vinto dal Liverpool. Il cui ultimo titolo nazionale risale addirittura alla stagione 1989-90, quindi 29 campionati fa.
Davvero un altro mondo, con le squadre inglesi ancora fuori dalle coppe europee per i fatti dell’Heysel (e di sicuro in termini di albo d’oro il Liverpool fu quella a subire più danni) e la Premier League non ancora nata. La squadra allenata da Kenny Dalglish dominò la allora First Division, riscattando la precedente stagione. Deludente sul piano sportivo, per lo storico sorpasso nel finale con il 2-0 dell’Arsenal ad Anfield Road (gol di Alan Smith e soprattutto Michael Thomas, che negli anni Novanta avrebbe poi giocato a lungo con i Reds), e drammatica su quello umano per ciò che era accaduto il 15 aprile 1989 a Hillsborough. Fu la seconda stagione del ritorno a casa di Ian Rush, dopo un anno alla Juventus deludente ma da inquadrare in un momento minore della storia bianconera: l’attaccante gallese fu pagato 2,8 milioni di sterline, meno di quanto Boniperti lo avesse pagato nell’estate 1987 ma pur sempre un record per il calcio inglese, superando le cifre pagate dall’Everton per Tony Cottee e dal Manchester United per Mark Hughes. Nel 1989 invece non ci furono grandi colpi, ma soltanto l’arrivo di Glenn Hysen dalla Fiorentina.
La stagione iniziò subito bene, con il Charity Shield vinto sull’Arsenal grazie a un gol di Peter Beardsley. L’inizio in campionato fu così così, con problemi in attacco e il caso Aldridge: Dalglish aveva deciso di puntare su Rush e Beardsley come titolari fissi, così l’irlandese fu ceduto alla Real Sociedad. Fuori dalla Coppa di Lega per mano del solito Arsenal, la squadra di Dalglish mise la testa solo sul campionato e così a Natale raggiunse la vetta della classifica. Il cammino in FA Cup intanto proseguiva ed arrivò ad una semifinale sulla carta facile contro il Crystal Palace allenato da Steve Coppell: la sconfitta per 4-3, al termine di una partita memorabile decisa da Alan Pardew, fu amarissima anche perché al di là del Double (campionato più FA Cup, all’epoca per un tifoso inglese un’impresa che valeva più di una coppa europea) impedì di giocarsi la finale con il riemergente Manchester United che Ferguson aveva preso in mano tre anni prima. Il 28 aprile 1990, battendo 2-1 in casa il QPR con gol di Rush e Barnes, il Liverpool diventò con due turni d’anticipo campione d’Inghilterra. Per la diciottesima volta, un record superato dal Manchester United, contando First Division Premier League, ventun anni dopo. Era una squadra che era un misto di passato glorioso (Grobbelaar, Rush, Alan Hansen, Steve Nicol, Ronnie Whelan) e di presente di altissimo livello (Barnes, Beardsley, McMahon, Hysen), con ottimi elementi di complemento (Burrows, Venison, Staunton, soprattutto Houghton che era forte ma in quella stagione ebbe qualche problema) e comprimari di culto come un già appesantito Jan Molby.
Un Liverpool quasi totalmente britannico-irlandese: gli unici ‘stranieri’, considerando britannico Grobbelaar che aveva il passaporto dello Zimbabwe (ai suoi tempi ancora Rhodesia), erano Hysen, Molby e l’israeliano Ronny Rosenthal, che a stagione in corso arrivò in prestito dalla Standard Liegi e fu accolto meglio di come lo avevano (anzi avrebbero, visto che la firma non ci fu mai) accolto a Udine. Davvero altri tempi, ma questo non spiega perché si siano dovuti attendere 29 campionati, raramente lottando per vincerli (tre i secondi posti) per festeggiare (forse) di nuovo nonostante il Liverpool in questo trentennio sia quasi sempre stato un club ricco e spesso anche in Champions League (vincendola nel 2005, arrivando due volte in finale). Un trentennio in cui campioni d’Inghilterra sono state 7 squadre diverse, con storie e potenzialità diverse: Arsenal, Leeds United, Manchester United, Blackburn, Chelsea, Manchester City e Leicester City. Che il Liverpool non abbia mai vinto la Premier League fa quindi impressione.
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