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Cosa c'è dietro l'amaro addio al Milan dell'ex capitano della Nazionale? Forse nessun grande retroscena, al di là dei rapporti personali con Gattuso, ma solo l'essere arrivato nel momento esatto in cui la parte migliore della storia rossonera si è interrotta...
Riccardo Montolivo si è congedato dal Milan dopo sette anni, con un messaggio sui social network che sta facendo molto discutere. Un saluto emozionato ed emozionante non certo al club rossonero, che nell’ultima stagione lo ha collocato in tribuna senza che Gattuso dicesse qualcosa, ma ai tifosi del Milan. Una parte dei quali, diciamo la verità, non lo ha mai amato. “Mi hanno tolto la fascia e non ho fiatato… non ho potuto fare un solo minuto in campo e non ho fiatato… non ho avuto la possibilità di salutarvi nel mio stadio e non ho fiatato”. Parole amare, ma l’amarezza vera è stata essere considerato, anche dai media, un giocatore qualunque. Lui che è stato capitano non soltanto del Milan ma anche della Nazionale.
Il principale problema di Montolivo al Milan è stato quello di essere arrivato nel momento esatto in cui finiva il Milan, o meglio, una certa idea di Milan. Estate 2012, quella degli addii di Ibrahimovic, Thiago Silva, Nesta, Seedorf, Inzaghi. Nesta e anche di Gattuso. Quasi tutti già avanti negli anni, ma tutti andati via insieme. In pratica l’annuncio ufficiale che l’era Berlusconi era finita e che sarebbe iniziata una lunghissima transizione: ecco, dopo sette anni la transizione non è ancora finita e questi sette anni sono stati quelli di Montolivo. Che arrivò dalla Fiorentina svincolato, quindi con un contratto quadriennale pesantissimo, che con il prolungamento è arrivato ai giorni nostri.
Nel 2012 quel Montolivo ventottenne era, è giusto ricordarlo, uno dei migliori giocatori italiani, punto fermo della Nazionale di Prandelli fresca vicecampione d’Europa. Insomma, una grande colpo anche se Berlusconi e Galliani da lì in poi non è che ne abbiano fatti tanti altri, anzi. Già nel 2012, per la partita con la Juventus, indossa la fascia di capitano e dopo la partenza di Ambrosini la carica rimane a lui in via definitiva. Il Milan è quello che è, ma il vero problema è che Montolivo si fa male gravemente con la Nazionale proprio alla vigilia del Mondiale di Brasile: frattura alla tibia della gamba sinistra durante un’amichevole con l’Irlanda. Perde il Mondiale, ma soprattutto il miglior Montolivo non si vedrà più. Torna a discreti livelli, ma a Conte non piace e in Nazionale tornerà soltanto all’inizio della gestione Ventura: il 6 ottobre 2016, nella partita di qualificazione mondiale contro la Spagna, in uno scontro con Sergio Ramos, si procura una lesione al legamento crociato della gamba sinistra.
Altra operazione, altro campionato in pratica perso e rientro in pianta stabile con Montella e nella prima parte della gestione Gattuso. Senza infamia e senza lode, va detto, così come va detto però che l’ultima presenza in Nazionale risale a meno di due anni fa. È quindi inconcepibile che nel Milan di quest’anno non abbia giocato nemmeno qualche minuto, vista la concorrenza. Non è che avrebbe di sicuro trascinato la squadra verso la Champions League, ma in certe partite Gattuso è stato in emergenza e uno spazio anche da riserva per Montolivo sembrava logico. Probabile che il club lo avesse invitato a togliere il disturbo, per risparmiare qualcosa degli 8 milioni lordi annui che in ogni caso gli spettavano (capolavoro del suo procuratore Giovanni Branchini, scelta discutibile di Galliani), un ingaggio degno del Milan che vinceva le Champions League, ma una volta accertata la volontà di Montolivo questa scelta è stata autolesionistica. Poi probabilmente gli input societari si sono saldati ai rapporti personali ai minimi termini: averlo schierato a Milanello nella formazione della Primavera non è stato certo un omaggio.
Ci ha spesso colpito la violenza web contro Montolivo, reo di avere alzato un solo trofeo (la Supercoppa 2016 contro la Juventus, a Doha, oltretutto senza giocare) in sette anni. Di sicuro a lui ha fatto più male l’atteggiamento di Gattuso, ma è difficile giudicare una questione che da sportiva è diventata presto personale. Si chiude così la storia milanista e forse anche la carriera di un centrocampista capace di fare un po’ di tutto, dal rifinitore all’uomo davanti alla difesa, capitato al posto giusto nel momento più sbagliato possibile.
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