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Il terremoto e l'Avellino

Il terremoto e l'Avellino

Nel tardo pomeriggio del 23 novembre del 1980 il sisma colpì l'Irpinia e altre zone d'Italia. Tantissime le vittime, dirette e indirette, ma il calcio riuscì in qualche modo a salvarsi...

23 novembre 2020

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Per Avellino c’è stato un prima e un dopo domenica 23 novembre del 1980, quando alle 19 e 34 l’Irpinia e altre parti della Campania e della Basilicata furono devastate da un terremoto al decimo grado della scala Mercalli. Che causò 3.000 morti, quasi 10.000 feriti e 280.000 sfollati. A quarant’anni di distanza in tanti ad Avellino ricordano quel dramma, in contrasto con la felicità provata poche ore prima al Partenio, quando nell’ottava giornata di Serie A l’Avellino allenato da Vinicio aveva battuto 4-2 l’Ascoli, in una partita che per gli standard dell’epoca era stata davvero spettacolare e piena di emozioni.

L’Avellino andò in vantaggio grazie ad un autogol di Scorsa, ma il pareggio della squadra di G.B. Fabbri (ancora per poco, perché presto sarebbe ritornato Mazzone) arrivò quasi subito per opera dell’ex Trevisanello che di testa sfruttò il calcio d’angolo battuto da Adelio Moro. La squadra di Vinicio ebbe sempre in mano il gioco e solo le ripetute prodezze di Muraro riuscirono a ritardare il nuovo vantaggio. Che arrivò per opera del giocatore più atteso, Juary, che dopo uno scambio con Ugolotti segnò di sinistro. Nel secondo tempo il brasiliano, oggi uomo immagine delle scuole calcio del Santos, sbagliò un gol fatto e Ugolotti sfruttò la situazione per il 3-1. L’Avellino dilagò, per la gioia dei 20.000 presenti, con Juary che ad ogni contropiede dava la sensazione di poter segnare. Invece a segnare fu l’Ascoli, con Scanziani, prima che ancora Juary risolvesse la situazione, servito da Repetto: portiere saltato e fallo da rigore, all’epoca senza espulsione. Rigore di Ugolotti e 4-2. Visto che il Perugia aveva perso a Pistoia, l’Avellino riuscì a superarlo in classifica e a schiodarsi dall’ultimo posto.

Poche ore dopo il dramma. Che pur fra mille difficoltà non fermò l’Avellino, che non chiese di rinviare alcuna partita e la domenica dopo si presentò regolarmente a Pistoia, con il lutto al braccio, sperando di dedicare una vittoria a tutte le vittime del terremoto: invece perse 2-1, ma nessuno si lamentò. C’erano tutte le premesse per crollare, in un campionato che già era iniziato ad handicap per i 5 punti di penalizzazione da calcioscommesse e con il Partenio inagibile. Invece quella squadra, piena peraltro di ottimi giocatori (da Tacconi a Vignola, da Di Somma a Criscimanni), tenne duro, giocò qualche partita casalinga a Napoli e poi il 25 gennaio tornò al Partenio. Salvandosi proprio lì, sul suo campo, fra la sua gente, all’ultima giornata, contro la Roma di Falcão ancora in lotta per lo scudetto. Finì 1-1, con un secondo tempo che fece arrabbiare Liedholm per lo scarso coraggio dei suoi e con incidenti fuori dallo stadio. Nella stagione del terremoto l’Avellino era riuscito a rimanere vivo.

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