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Il club brianzolo è in Serie A per la prima volta in 110 anni di storia. Merito degli investimenti enormi, rapportati alle categorie, e di un'ambizione che manca a tanti...
Il Monza in Serie A per la prima volta nella sua storia, 110 anni esatti, sta facendo parlare di sé molto più che di tutte le altre promosse nel massimo campionato degli ultimi anni, per due motivi evidenti: la proprietà di Silvio Berlusconi ed il lavoro di Adriano Galliani, che in sole quattro stagioni hanno portato il club dalla Serie C alla A, con l’ambizione di rimanerci e di andare ad insidiare quella classe media un po’ intorpidita che non va né avanti né indietro: Bologna, Sassuolo, Torino, Udinese, eccetera.
Da qui a parlare di ‘favola Monza’ ce ne passa, perché questa doppia promozione, con ancora negli occhi le due spettacolari partite contro il Pisa, è stata ottenuta spendendo cifre fuori mercato e facendo in molti casi negli anni scorsi collezione di figurine, su tutte quelle di Boateng, Paletta e Balotelli: usare lo stesso schema in Serie A costerebbe molto di più dei 70-80 milioni finora gettati nel calciomercato, senza nemmeno ipotizzare di avere un ritorno finanziario o di immagine. Perché nel 2022 l'appeal del calcio di provincia non è quello degli anni Settanta, quando la memorabile squadra allenata da Alfredo Magni sfiorò per quattro volte la promozione e fece nascere leggende sulla scarsa volontà della proprietà di fare il grande salto (poi riprese nell'Allenatore nel Pallone, con la poco immaginaria Longobarda del commendator Borlotti).
La caratteristica che rende unica questa impresa del Monza è che si tratta di fatto di una sfida personale di Berlusconi e Galliani, due uomini di 86 e 78 anni che dalla vita e dal calcio hanno avuto molto, e che ora si ritrovano in Serie A in un contesto con poche migliaia di tifosi, quasi tutti con il Monza come seconda squadra (di solito dietro la Juventus, del resto anche Galliani è juventino). Nella stagione appena terminata il Monza ha avuto una media spettatori a partita di poco superiore ai 4.000, quando prima dell’arrivo di Berlusconi (quindi in C) era sotto i 2.000.
Cifre che ricordano quelle del Chievo prima della sua promozione in A del 2001: nell’arco di quasi due decenni il defunto (ufficialmente no, perché esistono squadre di settore giovanile) club di Campedelli avrebbe portato la media spettatori oltre i 12.000, ma con tutto il rispetto non ci sembra questo l’orizzonte temporale di Berlusconi e Galliani. È una questione personale, per questo è probabile che il Monza dia fin da subito fastidio a tanti. E che un domani, auguriamo ai suoi motori dopodomani, venga venduto all’americano della situazione con il marchio di terza squadra di Milano.
Perché, non giriamoci intorno, il punto è questo: come si può posizionare il Monza in una terra a maggioranza juventina e con la vicinanza geografica di Milan e Inter? Di sicuro sarà una realtà in cui i grandi club manderanno volentieri qualche loro giovane, ma la fede calcistica non è che si possa cambiare dalla sera alla mattina, anzi diciamo pure che non si può cambiare. Per il momento il Monza in A è una bella storia, calata dall'alto, che però purtroppo interessa a pochi.
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