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L'esempio morale di Andriy Shevchenko© Getty Images

L'esempio morale di Andriy Shevchenko

L’uomo dietro lo sportivo. Ritratto di Sheva tra il campo, il carattere e l'Ucraina.

27 ottobre 2022

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Non è stato soltanto l’orgoglio calcistico di milioni di connazionali tra un millennio e l’altro, non si è limitato a essere uno dei più forti nella sua era. Andriy Shevchenko, oggi, rappresenta un popolo che vuole continuare a essere tale. Un esempio di dignità, di buona educazione, ma anche di inflessibile fermezza. Professionale, controllato, mai freddo. Efficiente, non efficientista. Gentile, non sempre conciliante. Un simbolo per l’Ucraina che cerca sé stessa nell’ora più dura, l’immagine di un uomo che non molla la sua gente. Una storia che non comincia nel 2022. Si presentò alla corte di Silvio Berlusconi alle soglie del 2000 e si capì subito di che pasta era fatto. Non solo sul piano calcistico. 

Russo? Macché, ucraino

Arriva a Milano nell’estate del 1999. Non è semplice avere 23 anni neppure compiuti, non sapere una parola d’italiano e percepire comunque il senso delle future responsabilità. Del resto Andriy Shevchenko è stato ingaggiato da una società piuttosto particolare. Il Milan è fresco campione d’Italia e il presidente non è soltanto un imprenditore di successo. Silvio Berlusconi è un uomo politico molto importante, un tycoon televisivo di fama internazionale e tante altre cose più o meno belle. È stato (e sarà negli anni successivi) Presidente del Consiglio. La squadra di calcio è la rotella di un ingranaggio molto complesso e la stella lucente di un cielo particolarmente affollato. Per chi gestisce il Milan vincere è essenziale, rappresenta un investimento finanziario e una fonte di consenso politico-imprenditoriale da non far prosciugare mai.

Chi fa gol, deve sapere bene per chi e perché punta la porta avversaria. Il ragazzo afferra prontamente il concetto e si mette subito a disposizione di tecnico e compagni. Sembra un oggetto non meglio identificato, all’inizio dicono che sia russo e non lo è. Viene dall’Ucraina e non è la stessa cosa. Il suo Paese è libero e sovrano da meno di dieci anni, e lui sente di rappresentarlo in tutto ciò che fa. Ci sono però tanti modi per rappresentare il proprio Paese ed è il “come” a fare la differenza. Conta come si parla, come si sta zitti, come si sceglie di rispondere con i fatti ai fatti della vita. Il nuovo attaccante rossonero riporta nella vita quotidiana ciò che fin da giovanissimo ha imparato, a tutto tondo, nella Dinamo Kiev. Il maestro Valerij Lobanovsky non gli ha soltanto insegnato a calciare un pallone e ad evitare il fuorigioco (sì certo, anche quello), gli ha sempre detto una cosa essenziale: «Fa’ la cosa giusta al momento giusto».

Il che implica possedere equilibrio nelle scelte, disciplina personale, autocontrollo e garantire tanta applicazione quotidiana. Oltre naturalmente ad avere talento, che si può affinare ma certo non comprare all’ipotetica Fiera dell’Est. Nel caso specifico il coacervo di tutte queste qualità si trasforma in una precisa impostazione etica: essere funzionali al gruppo (che sia la Dinamo, il Milan o l’Ucraina) in modo degno, senza però mai svendere o annullare la propria individualità. In Italia la moneta è ancora la lira, a Kiev vogliono essere pagati in dollari. 25 milioni, per l’esattezza. 

"No grazie, Presidente"

Berlusconi e l’amministratore delegato Adriano Galliani ricevono un’ottima impressione dall’ultimo arrivato e, da persone con una certa acutezza psicologica quali sono, comprendono che il ragazzo è giovane, sì, ma sprovveduto neanche un po’. Al Milan non lo hanno scelto a occhi chiusi: videocassette su videocassette, viaggi, emissari, Shevchenko è stato studiato a fondo e poi fortemente voluto. Dopo anni di permanenza a Milanello, nel 1999 George Weah vorrebbe cambiare aria e l’eventuale sostituto non dovrà far rimpiangere il campione franco-liberiano. Dunque, la scelta va ponderata.

I due attaccanti sono diversissimi per costituzione fisica e movimenti in avanti ma qualcosa in comune pure ce l’hanno: palla al piede, posseggono entrambi fondamentali eccellenti, un’accelerazione che fa paura a chiunque e una precisione nel concludere che pochi al mondo potrebbero vantare. E condividono la stessa fierezza caratteriale, con una differenza importante. Weah ne fa un esplicito vessillo per il riscatto di un popolo del quale un giorno diventerà presidente, Shevchenko non ha bisogno di parlare. Sa essere chiaro anche sul piano non verbale. Fin dal primo giorno arriva a Milanello con una puntualità poco italiana, è l’ultimo ad andar via a fine seduta e anche quello è un messaggio chiaro. A disposizione sì, professionista sempre, placido “yes man” anche no.

Nell’estate del ’99 Berlusconi arriva a commettere un atto di disparità rispetto agli altri giocatori che, a ben vedere, non è da lui: invita il campione ucraino sul proprio yacht. Il diniego di Shevchenko è da manuale di diplomazia scritto in una lingua straniera poco conosciuta: «Presidente, sono sinceramente onorato del suo invito, ma è meglio di no, prima di accettarlo dovrei meritare sul campo. E non ho ancora dimostrato nulla». Sottocodice al testo: “nessun ricatto morale, voglio sentirmi libero, perché nessuna eventuale delusione futura fra le parti suoni male. Meglio che ognuno resti al proprio posto”. Detto a una persona del tutto disabituata a un rifiuto, ciò contiene in sé maniere impeccabili ma carattere d’acciaio. Silvio e Adriano sono avvisati.

I fatti, solo i fatti

Andriy Shevchenko farà innamorare di sé un’intera tifoseria e tutti quelli che amano il bel calcio. Al primo anno la squadra non sembra più quella bella e fortunata dell’anno precedente, il discorso di vertice è presto ristretto a Lazio e Juventus. Ma all’attaccante venuto dall’Ucraina riesce qualcosa che fino ad allora era riuscito solo a Michel Platini: capocannoniere della Serie A alla prima stagione in Italia. Dirà di lui l’interista Cordoba, impegnato a marcarlo durante tanti derby milanesi di quegli anni: «Sheva è stato il più difficile in Italia non solo per i gol che ha segnato: perché era un attaccante completo e pure furbo. Non potevi mai perderlo di vista: per lui diventavano decisivi i centimetri, non i metri, che ti prendeva. Sheva partiva da sinistra, da destra, lo trovavi dappertutto e se lo perdevi un attimo nove su dieci ti castigava». 

 

Non sarà un fine declamatore, ma in poco tempo ha imparato la lingua locale in modo rapido e più che accettabile (due decenni a seguire ci sarà un altro campione che, dopo stagioni in Italia, saprà dire solo un improbabile “ti aspecto”). È umile, ma conosce molto bene la differenza fra umiltà e umiliazione. I vertici rossoneri sono talmente soddisfatti di lui che a gennaio 2000 Weah viene accontentato: il Diavolo Nero può anche andare al Chelsea. Non c’è problema, c’è Fanta Sheva, come i tifosi del Milan hanno ribattezzato il nuovo idolo. L’idolo ripaga con i fatti. Mai chiacchiere a vanvera, mai accenti di vanità, nessuna recriminazione. Oggi è andata male? Ci lavoreremo. Profilo flat, molto rendimento. Ad altri piace essere efficienti, lui punta all’efficacia, come gli aveva insegnato Lobanovsky.

In una vecchia intervista, Zvonimir Boban indicava nella grande efficienza organizzativa la forza del Milan: «Ti trovano casa, ti vanno anche a pagare le bollette, tu devi solo lavorare e farti trovare sempre pronto». In quegli stessi anni il bomber ucraino deve pensarla diversamente: l’organizzazione è una gran cosa ma poi, quando le situazioni precipitano, anche le grandi famiglie distinguono figli e figliastri. Meglio andare da soli all’ufficio postale e mettere in chiaro le cose con chi di dovere, sia pure con modo e maniera. Ferma restando l’efficienza – ci mancherebbe -, quel che conta di più è l’efficacia: la cosa giusta al momento giusto. Il resto sono chiacchiere, e vanno. 175 gol in 322 apparizioni in rossonero, restano. Vista così, avrà ragione lui. 

Con il suo popolo

Dopo alterne esperienze come allenatore – porta l’Ucraina fino ai quarti di finale degli Europei 2020, poi sarà per breve tempo tecnico del Genoa – a inizio 2022 torna momentaneamente in patria. Si addensano nubi fosche all’orizzonte, poi a fine febbraio il Paese viene invaso. Gli ucraini sono gente temprata dalla storia, da bambino Andriy ha dovuto superare anche lo spettro nucleare di Chernobyl e rifarsi una vita altrove assieme alla famiglia. Ma stavolta la situazione rischia di creare una Chernobyl all’ennesima potenza. L’aggressione russa significa una terra devastata, distruzione, migliaia di morti. Senza una lacrima, con la forza pacata ma decisa di sempre, lui c’è:

«Il mio messaggio al mondo è che sono passati mesi dall'inizio della guerra e, ovviamente, la consapevolezza della guerra è come un'onda che cresce e poi si spegne. Il mio messaggio è che la guerra c'è, la situazione è molto critica. Ogni giorno le persone perdono la speranza, perdono le loro case, perdono la vita. Hanno bisogno di aiuto. Non siate indifferenti. So che molti di voi hanno già aiutato molto e voglio ringraziarli. Ma so anche che l'Ucraina ha bisogno di più aiuto, vi prego di non essere indifferenti. Dobbiamo restare uniti per il mio popolo. Il mio messaggio è sempre "Sláva Ukrayíni, Gloria agli ucraini». Non è un proclama politico, quello dell’ex fuoriclasse del Milan, ma un messaggio di resistenza. E se a parlare è uno della tempra morale di Andriy Shevchenko, che non interviene se non quando necessario, e che di parole ne ha sempre spese poche – soprattutto in ucraino, lingua che non ha mai utilizzato nelle conferenze stampa per la diffidenza dei suoi stessi connazionali – beh, allora il messaggio assume molta più forza.

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