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L'addio di Andrea Agnelli, la Serie B di Santo Stefano, gli allenatori del 2006 e il mistero Benzema
La Juventus di Andrea Agnelli è ufficialmente finita, dopo l’assemblea dei soci presieduta per l’ultima volta dal presidente dei 9 scudetti consecutivi ma anche del disastro finanziario (meno 239,3 milioni di euro il risultato del solo 2021-22) e giudiziario finale, che ha offerto a John Elkann il motivo per azzerare tutto e ripartire da un consiglio di amministrazione composto da uomini e donne provenienti da fuori del calcio. Poi le luci della ribalta in assemblea se le è prese Luciano Moggi, piccolo azionista ma grande ex, con l’ormai mitica chiavetta USB contenente tutti i retroscena di Calciopoli. Il messaggio è evidente: Moggi, da sempre sostenitore di Andrea Agnelli pur essendo sempre da lui stato tenuto alla larga dalla Juventus, pensa che a 16 anni di distanza la storia si sia ripetuta, con una faida familiare spacciata per pulizia e moralizzazione del calcio italiano. Il paradosso dell’intricatissima situazione attuale è che l’uomo più forte della Juventus in questo momento sembri essere Allegri, uno per il quale due mesi fa anche i media di famiglia parlavano di esonero.
I 48.877 spettatori di Bari-Genoa ed in generale gli ottimi riscontri di pubblico della Serie B a Santo Stefano impongono di tornare sul calcio di Serie A durante le festività natalizie, senza esibirsi nella solita esterofilia da Boxing Day. La questione è semplice: vista la sosta da Mondiale, torneo oltretutto senza l’Italia, quest’anno il calcio di Serie A manca più che mai. L’esperimento di 4 stagioni fa non è stato e probabilmente non sarà più ripetuto, senza un perché diverso dal fatto che molti addetti ai lavori del calcio italiano vogliono fare le stesse vacanze che farebbe un impiegato di banca, quando invece il punto è che i calciatori giocano proprio per intrattenere questo ipotetico impiegato di banca durante il suo tempo libero. Cosa dovrebbero dire i camerieri che il 26 dicembre, per non dire il 25, servono ai tavoli? Ci verrebbe da citare anche i giornalisti sportivi, perché non è che durante le feste i tifosi siano meno interessati al calcio. Ogni lavoro ha una sua specificità, senza fare classifiche.
A proposito di Serie B, la prima cosa che balza all’occhio alla fine del girone di andata è che le prime tre squadre in classifica, Frosinone, Reggina e Genoa, siano allenate da tre campioni del mondo 2006, Grosso, Pippo Inzaghi e Gilardino. In un campionato dove di quegli azzurri di Lippi ce ne sono altri tre: due in panchina nella mediocrità, Cannavaro al Benevento e De Rossi alla Spal, e il quasi quarantacinquenne Buffon in campo (anche se non gioca dall’inizio di ottobre per infortunio) con il Parma sognando la promozione in A. Segno che l’Italia, sia pure minore, è alla fine un palcoscenico più stimolante (e con bonifici più regolari) rispetto a quasi tutti gli altri. Pensando anche a Pirlo, Oddo, Barzagli, Gattuso, Nesta, Amelia, Camoranesi, Barone e agli altri che ci hanno provato per poi mollare, da Zambrotta a Materazzi, si può dire che l’Italia 2006 abbia prodotto molti più aspiranti allenatori di quella 1982.
Karim Benzema rimane uno dei grandi misteri del Mondiale 2022, visto che dopo il suo addio alla Nazionale sono arrivate le parole del procuratore, Karim Djaziri, secondo cui l’attaccante infortunatosi a pochi giorni dal Mondiale sarebbe potuto senza problemi tornare a disposizione di Deschamps già dagli ottavi di finale. L’accusa dell’entourage di Benzema è chiara: il c.t. con il pretesto dell’infortunio muscolare lo ha fatto fuori dai Bleus. Ma è una stupidaggine, perché proprio Deschamps prima di Euro 2020 si era violentato ed aveva riammesso in squadra Benzema, cacciato per il caso Valbuena e quindi escluso da Russia 2018: stiamo parlando sì di un campione, ma anche di uno che ha partecipato al ricatto ai danni di in compagno ed era sgradito a buona parte dello spogliatoio. Insomma, Deschamps per questa marcia indietro indotta dalla mancanza di centravanti (Giroud non era ancora alla seconda giovinezza) si era anche attirato critiche. La verità è probabilmente che non voleva sentirsi costretto a far giocare uno a mezzo servizio al posto di un Giroud in forma, creando malumori nel resto della squadra (Mbappé in testa, ovviamente). Di sicuro non c’entra il razzismo, come un Benzema d’annata aveva ipotizzato, sempre dietro cattivi consigli, visto che la Francia di Deschamps ha chiuso il Mondiale in finale con in campo dieci neri più Lloris.
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