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Addio prematuro ad un grande campione e ad un uomo rispettato, icona generazionale per una generazione di italiani. Fra i pochi personaggi davvero trasversali del calcio...
La morte di Gianluca Vialli è stata fra le più annunciate nella storia recente del calcio: del resto occorre il suo fisico ed una super-motivazione per resistere oltre 5 anni al tumore al pancreas. Una lotta che gli ha permesso di vedere le figlie per qualche anno in più ed anche di vivere con l’amico Roberto Mancini il trionfo ad Euro 2020, con quell’abbraccio finale il cui significato non si può spiegare con le parole. Dimenticando il dolore per la morte di un uomo di 58 anni torniamo però al calcio e chiediamoci quale sia stato il posto di Vialli nella storia di quello italiano.
Intanto è stato uno dei pochi campioni davvero trasversali, nonostante la Nazionale gli abbia riservato più delusioni che gioie: il Mondiale in Messico in cui Bearzot non ebbe il coraggio di puntare su di lui (lo mise solo nei finali di partita), che era in forma smagliante, l’Europeo Under 21 del 1986 perso in finale con una squadra fortissima, l’Europeo 1988 con tanti complimenti ma finito in semifinale contro l’Unione Sovietica, il dolore di Italia ’90, Mondiale che giocò da mezzo infortunato (ma se avesse segnato quel rigore agli Stati Uniti sarebbe forse cambiato tutto), la mancata convocazione a USA ’94 da parte del suo antipatizzante Sacchi. Insomma, se altre icone trasversali rispetto al tifo come Riva e Baggio devono molto all’Italia, non si può dire la stessa cosa di Vialli. Che la stima di un pubblico spesso becero come quello del calcio se l’è guadagnata non soltanto con le sue giocate ma anche con un’intelligenza rara fuori dal campo.
Non facciamo torto a nessuno dicendo che il miglior Vialli sia stato quello della Sampdoria negli anni immediatamente precedenti allo scudetto 1990-91, stagione in cui già fisicamente e come ruolo era cambiato, anche se è facile ricordare sue grandi partite con Cremonese, Juventus e Chelsea. Vialli è stato un goleador di alto livello ma non fenomenale: fra i primi 100 nella storia della Serie lui è il numero 48 sia per gol (123, di cui 85 con la Sampdoria e 38 con la Juventus) sia per media-gol a partita (0,38). Il gigantesco e doveroso asterisco è che lui le sue stagioni migliori le ha giocate in un calcio con regole e arbitraggi punitivi per gli attaccanti: nel 1992, quando cambiò il passaggio al portiere, aveva già 28 anni. Senza contare che gran parte della carriera l’ha passata da esterno: nella Cremonese di Mondonico, in serie B, lui aveva addirittura anche compiti difensivi. Ed anche nelle prime stagioni alla Sampdoria era tutt’altro che un centravanti: Bersellini e per qualche tempo anche Boskov preferivano metterlo a supporto di Mancini, piuttosto che il contrario, al punto che come centravanti di riserva erano stati ingaggiati i vari Pino Lorenzo e Branca.
Poi Boskov gli cambiò definitivamente posizione, imitato da Vicini (che nel frattempo aveva scaricato Mancini ed aveva perso Altobelli), ed i più giovani senz’altro ricordano meglio il Vialli prima punta. Atleta eccezionale, che non si risparmiava (e non sempre era un pregio), non aveva nella freddezza sottoporta la sua qualità migliore: insieme a tutto il Mondiale del ‘’90 il grande dolore sportivo di Vialli rimangono i gol sbagliati a Wembley con il Barcellona nella finale di Champions League 1991-92: la meravigliosa Sampdoria di Paolo Mantovani finì lì, con Vialli che poche settimane dopo sarebbe passato alla Juventus. Dove fece ottime cose e significativamente chiuse il quadriennio alzando la Champions nella finale di Roma. Nell’estate del 1996 entrò nella storia per essere uno dei primi grandi campioni ad avvantaggiarsi della sentenza Bosman, passando a costo zero al Chelsea: in Inghilterra avrebbe trovato altre vittorie, una famiglia ed un modo nuovo di osservare il mondo, ma senza mai perdere le proprie radici. The Italian Job, scritto insieme a Gabriele Marcotti, è uno dei libri più intelligenti mai scritti sul calcio.
Quale è quindi il posto di Vialli nella storia del calcio italiano? Lui rispettava il talento puro e dichiarava apertamente di essere inferiore a Mancini ed anche a Baggio compagno di Nazionale e soprattutto di Juventus, quindi in questo senso non appartiene alla categoria di Meazza, Rivera, Riva, Buffon, Pirlo, Maldini, di pochi altri e dello stesso Mancini. Però è stato un grande calciatore ed un uomo consapevole, che ha vissuto al massimo la sua vita. Paradossalmente la mancanza di una consacrazione globale, quella che dà soltanto il Mondiale, lo ha reso un campione più vero, più umano. Per noi è stato anche icona generazionale, simbolo degli anni Ottanta prima ancora che dei Novanta, avendo l’età per essere un nostro fratello maggiore, e quindi siamo di parte: Vialli morto a 58 anni è inaccettabile. Quel ragazzo dall'atteggiamento positivo e apparentemente senza pensieri dell'Under 21 di Vicini è però ancora vivo in tutti noi.
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