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Il club di Marotta, l'aprile di Pioli, Villas-Boas presidente e la novità del PSG
Mentre l’Inter festeggia la sua seconda stella in molti si chiedono se questo sia l’inizio di un ciclo, la fine di un ciclo, se il club sia a metà di un ciclo. C’è questa ossessione del ciclo ma tanti discorsi fatti 12 mesi fa sul Napoli dovrebbero avere insegnato che il ciclo non lo fanno i giocatori (in fondo di quelli veri era partito solo Kim), ma gli allenatori di personalità, che quasi sono il volto del club, e i dirigenti. Di Spalletti è già stato detto tutto, tranne quando abbia realmente saputo che la panchina azzurra di Mancini stava scricchiolando. Poi è bastato che andasse via Giuntoli, peraltro sostituito da un ottimo professionista come Meluso (mai ricordato), e che De Laurentiis entrasse nel merito calcistico delle operazioni per trasformare una macchina da calcio in una squadra che lotta per la qualificazione all’Europa minore. Per questo l’unico ciclo è quello di Marotta, iniziato a fine 2018, con Zhang assente ma sempre proprietario, una situazione unica a questo livello e che tutti i dirigenti, spesso delegittimati dal ‘padrone’ anche con una semplice battuta, sognano di vivere. Per questo la prosecuzione del ciclo interista dipenderà più dal rinnovo del prestito alla controllante che da Taremi e Zielinski.
Secondo le dure leggi del calcio, quelle che volevano Simone Inzaghi esonerato nel 2023 più o meno di questi tempi, l’aprile 2024 di Pioli non verrà ricordato per il secondo posto in Serie A, miglior risultato dei 12 anni dopo la fine del grande ciclo (ancora il ciclo!), dopo lo scudetto di… Pioli e a pari merito con un secondo posto di… Pioli, ma per l’evidente crollo fisico e psicologico di una squadra i cui leader tecnici (Rafael Leão, Maignan, Theo Hernandez) hanno perso colpi o comunque non hanno fatto la differenza nelle due partite di Europa League con la Roma, nel derby con l’Inter e nemmeno nella sfida mal giocata contro la Juventus. Al di là del toto-allenatore, colpisce in questi giorni il silenzio di Ibrahimovic, passato da presunto motivatore e ‘uomo di calcio’ di Cardinale a spettatore (e nemmeno sempre) non pagante. Se il prossimo tecnico non lo sceglierà lui al 100% verrà da chiedersi quale sia il suo ruolo nel Milan.
Onestamente invidiamo i grandi club in cui il presidente è eletto da una moltitudine di soci, come è avvenuto al Porto con Andres Villas-Boas. L’ex golden boy degli allenatori mondiali, che dopo essere stato vice di Mourinho proprio al Porto ha vissuto i suoi anni migliori, stava vivendo un cattivo momento professionale, ormai da anni, dalla scellerata decisione di seppellirsi in Cina, e anche personale, per via della malattia. La vera notizia è che Villas-Boas ha chiuso dopo 42 anni l’era di Pinto da Costa, il presidente delle due Coppe dei Campioni-Champions, di 23 dei 30 campionati portighesi, e di tantissimo altro. Scopritore di tantissimi talenti in campo e in panchina, a 87 anni Pinto da Costa non voleva mollare, ma 21.000 dei 26.000 votanti lo hanno accompagnato alla porta. Impossibile per Villas-Boas fare meglio di lui, bellissimo che decidano soci-tifosi e non entità lontane.
Il dodicesimo campionato francese vinto dal PSG è il decimo dell’era quariota e delle spese no limits, iniziata nel 2011 e probabilmente eterna. In queste 13 stagioni gli unici a superare la corazzata parigina sono stati il Montpellier trascinato da Giroud, il Monaco di un giovanissimo Mbappé e il Lilla di Galtier che in porta aveva Maignan. O, in altra prospettiva, gli unici allenatori del PSG qatariota a non avere vinto la Ligue 1 sono stati Ancelotti, Emery, Tuchel e Pochettino. Tutta gente di altissimo livello, come si nota. Il campionato di Luis Enrique è però diverso dagli altri, non perché il club abbia speso poco (anzi) ma perché ha chiuso l’era delle figurine: Messi, Neymar, Sergio Ramos. È insomma diventato un club che può resistere anche al dolore mortale della partenza di Mbappé non per soldi ma perché ha ribadito ciò che tutti sanno e cioè che il Real Madrid è il sogno di ogni calciatore del mondo. Il paradosso del PSG, che politicamente sostiene Ceferin come nessun altro grande club, nemmeno quelli contrari alla Superlega, fa, è che dimostra l’assurdità del fair play finanziario UEFA. Che sembra strutturato per replicare all’infinito i rapporti di forza attuali. Se il QSI volesse entrare nel Bologna, facciamo un esempio vicino a noi, e portarlo in cima all’Europa, oggi non lo potrebbe fare. Più utile e giusto un salary cap a livello europeo, in modo che tutti sappiano cosa serve per competere.
stefano@indiscreto.net
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