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AS Roma Unveil New Coach Daniele De Rossi

MILAN, ITALY - JANUARY 16:  Daniele De Rossi with AS Roma Vice President Ryan Friedkin during his first day as AS Roma coach at Centro Sportivo Fulvio Bernardini on January 16, 2024 in Rome, Italy. (Photo by Fabio Rossi/AS Roma via Getty Images)© AS Roma via Getty Images

De Rossi esonerato

La scelta dei Friedkin, Il leone Ibrahimovic e la filosofia dell'Udinese.

18 settembre

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L’esonero di Daniele De Rossi da allenatore della Roma, dopo quattro giornate di campionato, non era stato previsto da nessuno ed è giusto dirlo nel momento in cui in tanti rivelano retroscena tenuti nel cassetto fino a un minuto prima. Soprattutto non era stato previsto da De Rossi, che dopo la mezza delusione di Marassi aveva fatto un programma a medio termine per inserire i tanti nuovi, per trovare qualcosa in più da un attacco finora a segno soltanto 2 volte e dove la differenza l’ha fatta Dovbyk, che si è sbloccato ma ha anche fallito occasioni enormi, e per registrare una difesa dove in tanti momenti mancano cattiveria e comunicazione. Insomma, la Roma di De Rossi aveva iniziato il campionato male ma non malissimo: pareggio a Cagliari, sconfitta casalinga con l’Empoli, buon pareggio contro la Juventus e pareggio-suicidio subito al 96’ con il Genoa. Il ritorno a Roma di Dan Friedkin, dopo tre mesi, ha portato quindi ad una decisione clamorosa e a prima vista senza senso. Non per la sacralità della figura dell’allenatore, la ruota gira e magari altri nelle stesse condizioni avrebbero fatto meglio di De Rossi, ma perché la Roma è una squadra in costruzione. De Rossi chiude così questa sua seconda vita giallorossa, con un contratto fino al 2027 da circa 3 milioni netti a stagione che non è un dettaglio, e tanti rimpianti. Per la Champions sfumata dopo aver sostituito Mourinho ma anche perché questa squadra ha potenziale. Lo pensava lui, ma ancora più di lui lo pensano i Friedkin dopo gli acquisti a peso d’oro di Dovbyk, Soulé e Le Fée e i tanti ingaggi di prestigio, da Hermoso a Hummels, da Saelemaekers a Koné.  

Da un esonero reale a uno potenziale, che per certi versi sarebbe più classico. Domanda: chi ha scelto Paulo Fonseca come allenatore del Milan? Verrebbe da dire soltanto Ibrahimovic, dopo l’ennesima dichiarazione da fenomeno prima della sconfitta di San Siro con il Liverpool, dialogando con quel Boban che per primo aveva avuto l’idea di riportarlo in rossonero. Certo, da giocatore, quindi in un altro mondo. In realtà con Fonseca non è andata così, come Ibra sa meglio di tutti: lo scorso maggio Cardinale per il dopo-Pioli voleva un allenatore dal profilo internazionale, qualsiasi cosa volesse dire (forse che si è allenato in diversi paesi e quindi teoricamente si sa gestire meglio la Babele che è uno spogliatoio nel 2024), e Fonseca si inseriva nella grande tendenza del preferire allenatori poco ingombranti e poco guru: quindi non Conte (gradito a Ibrahimovic, che però non ha mai apertamente detto qualcosa contro Fonseca) e non De Zerbi, per citare due che sarebbero venuti al Milan con entusiasmo. Tendenza di cui peraltro ha beneficiato anche Slot, scelto dal Liverpool per il dopo Klopp. E adesso? Una proprietà tradizionale, diciamo Berlusconi per stare sul Milan, legherebbe il futuro di Fonseca al derby: se vinci vai avanti, se perdi vai a casa. Ma questi di adesso hanno altre logiche e magari sono anche giuste: quante volte abbiamo detto e scritto che un club è ciò che sono i suoi dirigenti? Quindi Fonseca è a rischio, ma è pericolante anche la posizione di Ibrahimovic, con i gatti a sostituire il presunto leone.

L’Udinese capolista dopo quattro giornate di Serie A è qualcosa di estemporaneo, visti gli obbiettivi attuali del club di Pozzo, ma comunque di notevole anche per una realtà che da quasi 40 anni ha la stessa proprietà e che da quasi 30 è stabilmente in Serie A. Una realtà che però ha più volte cambiato pelle, come dimostra il confronto con l’ultima Udinese capolista solitaria, quella del 2011 allenata da Guidolin che aveva come giocatori di riferimento Handanovic, Di Natale, Asamoah e Pinzi. Non un dream team, ma una squadra da metà classifica ambiziosa che per due stagioni di fila arrivò ai playoff di Champions League e che qualche anno prima, con Spalletti in panchina e una qualità dei giocatori superiore si era addirittura qualificata per la Champions propriamente detta. Come si cambia, per non morire. I Pozzo lo hanno saputo fare, guadagnandoci. Certo il tifoso vuole la magia, per questo fra mille anni a Udine si parlerà dell'estate di Zico e non dei piazzamenti di Guidolin o della salvezza di Runjaic.

stefano@indiscreto.net

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