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L'ex allenatore del Liverpool diventerà responsabile delle squadre di calcio del mondo Red Bull. Forse non lo si vedrà più in panchina, ma il suo l'ha davvero fatto...
Jürgen Klopp non ha più voglia di allenare, la vera notizia è questa anche se lui l’aveva data già da quattro mesi: è soltanto che non ci volevamo credere. Dal prossimo gennaio sarà infatti Global Head of Soccer del gruppo Red Bull, quindi di fatto sarà una specie di coordinatore delle varie squadre del gruppo, scegliendo gli allenatori e soprattutto intervenendo sulle carriere dei giocatori con i vari spostamenti da una squadra all’altra, dal Lipsia al Salisburgo, da New York al Bragantino. Nella sostanza l’incarico che per quasi un decennio ha avuto Ralf Rangnick, anche se ovviamente Klopp sarà sempre percepito come un uomo di campo e non come un manager bravo anche ad allenare.
Si chiude così a soli 57 anni di età, ma dopo 23 di rara intensità fra Mainz, Borussia Dortmund e Liverpool, la carriera in panchina di uno dei più grandi allenatori di questo secolo. Facile pensare che soltanto la nazionale tedesca, mai nemmeno sfiorata come difensore in Bundeliga 2, potrebbe riaccendere il fuoco, anche se Nagelsmann sta facendo abbastanza bene e quindi questo scenario passa da un fallimento al Mondiale 2026. Ma al di là di queste congetture sul futuro, il burnout di Klopp era reale e non dipendente da una stagione negativa, come può essere negativo un terzo posto in Premier League, del Liverpool.
Nella storia del calcio Klopp rimarrà come inventore, o per lo meno teorizzatore più noto, del gegenpressing, diventato termine popolare ai tempi del suo Borussia Dortmund (qualche settimana fa Klopp ha presenziato alla partita di addio di Blasczykowski, una delle anime di quella squadra che aveva anche Hummels, Gundogan, Reus e Lewandowski), cioè il pressing portato subito dopo aver perso il pallone, evitando di organizzarsi in difesa o peggio ancora di farsi trovare disorganizzati. Facile a dirsi, perché il gegenpressing impone di avere una squadra di ottimi atleti attenti a ciò che succede in campo, più che a eseguire il compitino. Nelle mille spiegazioni fornite da Klopp il gegenpressing non è infatti qualcosa di automatico, ma una tattica che deve essere interpretata dai giocatori: già dopo un paio di passaggi riusciti degli avversari bisogna lasciar perdere e a quel punto davvero riposizionarsi, evitando l’unico grande nemico del gegenpressing, insieme alla fatica, che sarebbe il lancio lungo.
Poi Klopp non è rimasto un monolite per tutta la carriera, cambiando diverse volte modulo, anche se il preferito rimane il 4-3-3, e caratteristiche dei giocatori scelti. Il suo attaccante del cuore rimane Roberto Firmino, il più falso dei falsi nove, re dei palloni riconquistati, mentre l’allenatore per lui di culto è l’ormai defunto Wolfgang Frank, conosciuto al Mainz, rispettatissimo nel mondo tedesco ma quasi sconosciuto da noi. Frank, discreto attaccante nella meravigliosa Bundesliga di Beckenbauer, Vogts, Bonhof, eccetera, dove gli stranieri erano i Simonsen e i Popivoda, a sua volta era stato ispirato per il gegenpressing da Arrigo Sacchi, allenatore fra l’altro da Klopp molto amato e con cui condivide non il modulo di gioco ma una certa antipatia per il regista classico, poco interessato a conquistare palloni (in ultima analisi il gegenpressing lo rende inutile). In ogni caso di Klopp rimarrà nella storia anche la grande fisicità in panchina, cosa rarissima negli allenatori di alto livello, che lo ha reso un’icona anche al di là delle vittorie. Perché fra 100 anni uno guarderà Wikipedia e dirà che ha vinto le stesse Champions League di Di Matteo. Intanto inizia la sua terza vita calcistica, dopo quelle da giocatore e da allenatore: la storia si scrive sempre dopo, lui forse la sta ancora facendo.
stefano@indiscreto.net
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