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Quello che manca a Gasperini, la vittoria di Gravina e Juric ai tempi supplementari
L’Atalanta è da scudetto, anche se il suo monte ingaggi, intorno ai 60 milioni di euro lordi per la stagione in corso, è meno della metà di quello dell’Inter, quasi la metà di quello di Juventus e Milan, inferiore di parecchio rispetto a quello di Roma e Napoli, inferiore di poco rispetto a Lazio e Fiorentina. Certamente i soldi possono essere spesi male, o allenati male, ma quando si dice che un club è a un paio di giocatori dallo scudetto (come è stato per almeno un decennio al Napoli di De Laurentiis) si intende proprio questo: quella spesa in più, quell’alternativa in più che non assicura la vittoria ma almeno l’averci provato. Ecco, l’Atalanta ci proverà? Il riferimento non è la Sampdoria 1990-91, che aveva grandi giocatori pagati come li avrebbe pagati il Real Madrid (e che comunque in molti casi se ne volevano andare), e nemmeno il Verona 1984-85, squadra frutto di errori di valutazione delle grandi tradizionali, ma il Cagliari, pieno di nazionali (6 quelli che andarono ai Mondiali in Messico, e fino all’anno prima c’era stato Boninsegna) che in quel calcio autarchico facevano la differenza e gruppo cresciuto nel tempo, anche attraverso grosse delusioni. Nel frattempo però le dimensioni e gli interessi sono molto cambiati, anche se il vituperato VAR (che belli gli errori di una volta, signora mia…) qualcosa può fare per proteggere i bacini d’utenza medi, con poche protezioni politiche.
Vincono Gravina e i Dilettanti, con il loro assurdo 34% di rappresentanza nel governo del calcio italiano. Perdono Lotito, De Laurentiis e in parte Cairo che ci hanno messo faccia oltre agli altri club di serie A che gli hanno votato contro (Milan, Monza, Verona, Empoli, Genoa) ma senza sbandierarlo, mentre il giudizio è sospeso per i 12 che si sono astenuti convinti di essere stati astuti. Pareggia con onore la Serie C di Matteo Marani, la cui rinuncia ad un 5% in favore della Serie A ha evitato una guerra (il terzo livello del calcio italiano passa dal 17 al 12%), pareggiano e basta gli altri, dalla B, che anzi guadagna qualcosa (dal 5 al 6%) agli allenatori ai giocatori, rimasti rispettivamente al 10 e al 20. Questo in estrema sintesi l’esito dell’assemblea straordinaria della FIGC, convocata da Gravina dopo il fallimento a Euro 2024 e che ancora una volta ha sottolineato l’incapacità della Serie A di fare fronte comune per far valere un principio semplice: il treno deve essere guidato dalla locomotiva, non dai vagoni più o meno affollati, oltretutto da gente che non paga il biglietto. Comunque per la A passare dal 12 al 18% è meglio di niente, figuriamoci cosa accadrebbe se la lega avesse un leader con pieni poteri. Senza addentrarci in analisi politiche, rimaniamo sui fatti: Gravina si è salvato da un fallimento mondiale e da uno europeo della nazionale maggiore, dal livello ormai tremendo del calcio giovanile italiano e anche dalle ambizioni degli unici che producono ricchezza, cioè i club di A.
La pazzesca Roma del dopo Mourinho (esonerato 10 mesi fa, che sembrano 10 anni) va avanti con Juric, mentre scriviamo queste righe pare che il successore di De Rossi abbia vita fino alla partita di Europa League con l’Union Saint-Gilloise e a quella di campionato con il Bologna. Eventualmente l’allenatore croato sarà esonerato durante l’ormai imminente pausa per le nazionali. Ma il totonomi per la panchina, che con queste proprietà straniere è quasi sempre infondato (in quanti hanno un rapporto personale con i Friedkin?), è meno importante di cosa ci sia in ballo per la Roma come club. Rilanciare costerebbe di più, anche se andasse bene, che uscirne in relativa bellezza scaricando la Roma su altri. Più facile che l’algoritmo trovi investitori con i soldi che bravi dirigenti.
stefano@indiscreto.net
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