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Gli ex campioni che vogliono fare politica, il Genoa di Tiriac e la Unify League in chiaro
Lunedì Ronaldo ha annunciato la sua candidatura a presidente della CBF, cioè la federcalcio brasiliana, attualmente guidata da Ednaldo Rodrigues in mezzo a vicende giudiziarie complicate (è in carica solo in virtù di una sentenza che fra qualche mese potrebbe essere ribaltata) che non vogliamo copincollare da Google. Il Fenomeno non è il solito ex campione, più o meno preparato, che pretende che gli venga regalata una carica politica in virtù di ciò che faceva in campo, ma da mesi sta lavorando sui presidenti dei grandi club e sulle federazioni dei vari stati del Brasile: non è detto che vinca (in teoria le elezioni saranno nel 2026, potrebbero essere anticipate), ma è nell’ordine di idee che per vincere debba essere votato da qualcuno. Insomma, che ci si debba sporcare le mani, altro che 'Candidato che unisce' o 'Se me lo chiedono tutte le componenti'. Con questa concorrenza i Gravina e i Petrucci rimarrano presidenti fino al 2050. Di sicuro il quarantottenne campione del mondo 2002 (e anche 1994, quando avrebbe meritato almeno un minuto in campo nel peggiore Brasile di sempre, anche se vincente) ci crede, visto che sta trattando la vendita del Valladolid, dove peraltro non ha dimostrato grandi cose come dirigente. Il suo programma è chiaro: far tornare la nazionale brasiliana non tanto a vincere un Mondiale, quello in teoria è sempre possibile, quanto a essere la squadra più conosciuta e rispettata del mondo anche in un’epoca in cui l’interesse della gente è quasi tutto per i club.
Di chi è il Genoa? In questo momento di fatto di nessuno, in attesa della ricapitalizzazione da 40 milioni di euro necessaria per tirare avanti. Certo non più di 777 Partners, semmai dei suoi creditori. Ma è comunque una bella notizia che fra i vari interessati alla maggioranza di un club che ha il settimo pubblico d’Italia (dati ufficiali 2024-25), nonostante l’ultimo scudetto risalga a cento anni fa, ci sia un grande uomo di sport come Ion Tiriac. Che tutti conoscono come ex tennista e molto più grande manager di tennisti, da Vilas a Becker a tanti altri, e organizzatore sportivo, oltre che abile finanziere visto che nel post Ceausescu ha fondato la prima banca privata di Romania. Prematuro fare ragionamenti sui progetti di un uomo d’affari di 85 anni che raramente si è interessato di calcio (è un tiepido tifoso della Dinamo Bucarest, la società a cui era affiliato, mentre l'amico Nastase era per la Steaua), mentre già adesso si può notare la quasi totale assenza di italiani, non diciamo di genoani, fra i pretendenti a un club che sulla carta è un ottimo affare: grande città, bello stadio, pubblico che non pretende che si vada in Champions nemmeno in prospettiva.
Come era prevedibile la Unify League ideata dalla società erede della Superlega di Florentino Perez e Agnelli (di ritorno presto sui nostri schermi) ha generato reazioni fra lo stizzito e l’ironico, con la UEFA che difende la sua Champions gallina dalle uova d’oro e le leghe nazionali che vedono male qualsiasi aumento delle partite ‘garantite’, che nella Unify League diventerebbero 14 da 8 che sono adesso. L’aspetto più interessante della questione ci sembra quello televisivo, visto che riguarda il gradimento del pubblico e il modo di seguire il calcio: la Unify League proporrebbe tutte le sue partite in chiaro, riservando al mondo pay prodotti speciali, come potrebbero essere la possibilità di cambiare inquadratura, di gestire i replay, di evitare la pubblicità, di vedere le immagini degli spogliatoi, di avere highlights immediati, eccetera. Un’idea di calcio televisivo non a caso molto simile a quella della FIFA (Infantino dalla prima ora fiancheggiatore silente della Superlega), diversa da quella della UEFA e radicalmente diversa da quella delle leghe nazionali, tenute in vita dalle pay-tv e in campo per combattere una battaglia giusta ma di retroguardia come quella contro la pirateria. Una Serie A in chiaro riuscirebbe a raccattare i 900 milioni all’anno di Sky e DAZN? Non è una fantadomanda, perché per la Coppa Italia in chiaro, quindi una quarantina di partite di cui molte di scarso valore (diversamente non giocherebbero le squadre B), Mediaset paga ogni anno 58 milioni e quindi la proporzione ci sarebbe.
stefano@indiscreto.net
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