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L'Atalanta sempre più europea, i nuovi calciatori Panini e la Serie A di La 7 Cartapiù
Lo show contro lo Sturm Graz fa avanzare l’Atalanta alla fase a eliminazione diretta di Champions League, di sicuro ai sedicesimi e con gli ottavi da conquistare a Barcellona, e le fa festeggiare le 800 partite di Antonio Percassi da presidente dell’Atalanta, con 350 vittorie (compresa quella di ieri). Percassi già era il presidente dei record, davanti a Turani che aveva guidato l’Atalanta dal 1945 al 1964, ma la cifra tonda è un ottimo pretesto per fare il punto sulla situazione dirigenziale dell’unico club italiano della storia che abbia davvero cambiato in meglio il proprio status, al di là di cicli vincenti come quelli di Sampdoria e Cagliari, prima di rientrare nei ranghi. In tutto questo, fra risultati sportivi eccezionali per quella che rimane una realtà di provincia, bilanci sani e piani di sviluppo, molti si chiedono se Percassi davvero controlli l’Atalanta. La risposta da compitino è no, perché dal febbraio 2022 la maggioranza delle azioni è controllata dagli investitori americani che come frontman hanno Stephen Pagliuca, una maggioranza che dopo i vari aumenti di capitale è adesso arrivata al 62% con i Percassi al 38. La risposta vera potrebbe però essere un sì, nello scenario realistico (e a Bergamo chiaro fin dall’inizio) che una parte della cordata di Pagliuca decida di monetizzare un investimento all’epoca ritenuto folle: 280 milioni di euro circa a Percassi (vero motivo della cessione, anche se la narrazione agiografica parlava di ‘Sacrificio per far crescere l’Atalanta’) per quello che era il 55% del club, valutato quindi intorno ai 500 milioni di euro. Ecco, oggi l’Atalanta grazie alla sua dimensione internazionale vale molto di più. In sintesi: Percassi, nel grande calcio caso quasi unico di ex calciatore (carriera al 99% nell'Atalanta) vero diventato proprietario della sua squadra, ha vinto prima di tutto sul piano personale e poi anche per l'Atalanta, agganciata anche al treno politico-sportivo giusto: bravissimo.
Il nuovo album dei calciatori della Panini, uscito in edicola prima di Natale, ha ufficializzato la marginalità dell’Associazione Italiana Calciatori, se non proprio la sua scomparsa. Questa è la tesi di Beppe Dossena, esposta all’AdnKronos, ma anche la oggettiva realtà finanziaria visto che la Panini ora paga i diritti di immagine alla Lega e non all’AIC, come era sempre stato fino di fatto a un anno fa. Per il sindacato dei calciatori fondato da Sergio Campana nel 1968 e ora presieduto da Umberto Calcagno questo ha significato passare da 6 milioni (in passato anche molti di più) di incasso annui a niente, cioè un contributo della FIGC integrato dai tesseramenti che però con il 70% di stranieri sono sempre meno. Questo il vero punto, al di là delle posizioni personali di Dossena, che nel 2020 si candidò alla successione di Tommasi: la perdita di identità nazionale della Serie A fa perdere forza ai calciatori, sempre più portati a guardare il loro particolare o a cercare protezioni in super-agenti piuttosto che nel sindacato.
Chi si ricorda di La 7 Cartapiù? Risposta esatta: nessuno. Eppure sono passati soltanto 20 anni da quel 22 gennaio 2005 in cui con Bologna-Cagliari si aprì l’era del digitale terrestre a pagamento, in coabitazione con Mediaset: l’azienda di Berlusconi aveva le partite casalinghe di Inter, Milan, Juventus, Sampdoria, Messina, Atalanta e Livorno, quella ai tempi di Telecom invece controllava Cagliari, Palermo, Fiorentina, Chievo, Lecce, Reggina, Brescia, Bologna e Parma. 8 più 9 fa e faceva 17: Lazio, Siena e Udinese non trovarono l’accordo con nessuno. C’era già Sky, che sul satellite trasmetteva invece le partite di tutti. Il digitale terrestre pay, fin da subito battezzato come pay-tv dei poveri, avrebbe avuto questo assetto fino al 2009, quando le partite di La 7 sarebbero passate a Dahlia Tv prima del passaggio di tutto il pacchetto DTT a Mediaset Premium. Tutti fallimenti colossali, Mediaset Premium compreso, travolti da Sky e dallo streaming. Ma di quel digitale terrestre pay ci piace ricordare una buona idea, cioè le tessere a scalare, con cui si compravano blocchi di partite: nel caso di La 7 Cartapiù con 10 euro si compravano 5 partite, per un costo unitario quindi di 2 euro a partita. Nel 2025, in mezzo a miliardi di piattaforme cool e di pacchetti con centinaia di canali inutili che nessun essere umano avrà mai il tempo di guardare, ancora manca la possibilità di comprare una singola partita di Serie A e di vederla dove si vuole.
stefano@indiscreto.net
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