Smentita dai fatti. Inchiodata dalla cruda realtà di numeri incontestabili. La (ferma?) volontà di chi governa il nostro calcio, solo a parole pronto a dedicare attenzione alla crescita e allo sviluppo del settore giovanile, è clamorosamente smentita da una recente ricerca dell'Osservatorio del Calcio (Football Observatory), istituito presso il Centro Internazionale di Studi dello Sport affiliato all'Università di Neuchâtel in Svizzera. Lo studio analizza l'incidenza dei giocatori cresciuti (per almeno cinque anni) nei vivai dei club dei cinque maggiori campionati europei (Italia, Francia, Germania, Spagna e Inghilterra) e inseriti nelle rose di prima squadra (in Patria o all'estero) di questi tornei.
Ne emerge un quadro desolante per le squadre italiane. Niente di nuovo sotto il sole, direte, ma il raffronto con le più importanti realtà del continente è davvero impietoso. Appena il 9,6% di giocatori cresciuti nelle formazioni italiane trova spazio nei Top Five d'Europa. Comanda questa classifica la Francia (24,6%), davanti alla Spagna (22,4%), alla Germania (16,4%) e all'Inghilterra (13,9%): la media dei cinque campionati presi in considerazione si attesta al 17,2%, come si vede ben al di sopra della percentuale italiana.
Nel raking per club, dominio assoluto del Barcellona: sono ben 43 i giocatori usciti dalla cantera blaugrana attualmente impegnati nelle cinque maggiori Leghe, 13 nel Barça e 30 in altri club. Seguono con 36 il Manchester United (12 con Red Devils e 24 altrove), con 34 il Real Madrid (8+26), con 33 il Lione (15+18), con 27 il Paris Saint Germain (5+22), con 24 Athletic Bilbao, Real Sociedad (per entrambe un 15+9 che evidenzia la forte vocazione autoctona) e Rennes (5+19). Al nono posto, in compagnia di Bordeaux e Lens, troviamo, prima delle italiane, l'Atalanta, da anni splendido ma isolato esempio di formazione calcistica giovanile: cinque gli elementi a disposizione di Colantuono e ben 17 in giro con altre maglie).
Diciottesima l'Inter, che piazza 18 elementi (in cui 4 in nerazzurro); ventesima la Roma, a quota 17 (4+13); trentaquattresimi, con 14 giocatori, Empoli (7+7) e Milan (3+11). Nessun'altra formazione di casa nostra fra le prime cinquanta.
D'accordo, non sono compresi nello studio i molti ragazzi che da noi vengono mandati a maturare in Serie B o in Lega Pro, ma resta evidente la difficoltà per tanti di loro di emergere o di avere comunque una chance nella società in cui sono cresciuti, a differenza di quanto accade nel resto d'Europa. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: talenti che alla prima disillusione chiudono col calcio, altri che si perdono per strada, altri ancora che si rassegnano presto al dimenticatoio delle serie dilettantistiche. Di fronte a questi dati, riprende vigore il partito di quelli che sostengono l'introduzione delle seconde squadre. Ma siamo davvero sicuri che questa sia la vera panacea? O non, piuttosto, un ulteriore alibi di comodo per incrementare il giro delle plusvalenze facendo rientrare dalla finestra quel che si fa finta di voler sbattere fuori dalla porta (leggi riduzione delle rose)?
Gianluca Grassi