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L'Argentina che non ha bisogno di Icardi

L'Argentina che non ha bisogno di Icardi

Mauro Icardi sembra entrato in una nuova dimensione e soltanto lo straordinario vivaio argentino gli impedisce di essere titolare nella sua nazionale 

Redazione

2 novembre 2017

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Al di là dei gol, con i due alla Sampdoria è salito in questa stagione a quota 11 (4 i rigori), Mauro Icardi sembra entrato in una nuova dimensione e soltanto lo straordinario vivaio argentino gli impedisce di essere titolare nella sua nazionale e addirittura anche di essere sicuro di essere nei 23 convocati di Sampaoli per Russia 2018. Hanno lo stesso suo passaporto Messi, Dybala, Higuain, Agüero, Benedetto, Correa, Acosta, Alario, Pastore, Di Maria, Gomez (nel senso di Papu), per citare giocatori offensivi che sono stati chiamati nell'Albiceleste negli ultimi sei mesi e dimenticando volutamente Tevez, Lavezzi, Pratto, Vietto... Caratteristiche diverse, ma l'evidenza che non possono giocare e nemmeno essere tutti convocati nella stessa squadra, a maggior ragione se Sampaoli darà corso alla sua idea di costruire tutto intorno a Messi, un po' come fece Bilardo nel 1986 e nel 1990 con Maradona, avendo a disposizione una generazione molto inferiore a quella odierna.

Di sicuro Icardi non avrebbe in alcun caso rimpianti per la scelta fatta 4 anni fa e che vale la pena di ricordare in un'epoca in cui la nazionalità sembra qualcosa di burocratico e non invece identità, appartenenza, cultura. Il grande pubblico conosce Icardi l'Epifania del 2013, quando a nemmeno 20 anni segna, con la maglia della Sampdoria, una doppietta allo Juventus Stadium dando alla squadra allora allenata da Delio Rossi una incredibile vittoria, in dieci contro undici, contro quella di Conte avviata verso il suo secondo scudetto. Un grandissimo colpo di Riccardo Pecini, eroe di tante plusvalenze sampdoriane (ricordiamo solo Skriniar e Schick), che lo aveva preso dalle giovanili del Barcellona per 400.000 euro: in pieno guardiolismo duro e puro, un centravanti così non era previsto nemmeno fra i ragazzi (oggi Guardiola la pensa diversamente).

In poche settimane Icardi, che ancora guadagna 60.000 euro lordi all'anno, diventa un uomo mercato e la FIGC di Abete inizia a interessarsi seriamente a lui dopo gli approcci del passato con l'Under 19 guidata da Evani: una convocazione rifiutata, al contrario di quelle nell'Unger 20 argentina. Prandelli gli parla e capisce che non ha ancora le idee chiare: in Italia è esploso e grazie al nonno piemontese il suo passaporto italiano è a prova di qualsiasi verifica, ma lui si sente argentino nonostante di fatto non viva in Argentina da quando ha 9 anni. L'emigrazione in Spagna dei suoi genitori non è stata infatti al seguito del figlio fenomeno (come per Messi e tanti altri), ma per pura mancanza di lavoro in patria. È il c.t. azzurro, a quell'epoca fresco della finale agli Europei, a dirgli di pensarci bene. L'Argentina è piena di attaccanti forti anche nel 2013 e l'entourage di Icardi non sarebbe contrario a questa svolta italiana, ma a metà febbraio dopo un colloquio con Sabella proprio il giorno dei suoi 20 anni prende una decisione: sono argentino, giocherò nell'Argentina o starò a casa. In effetti Sabella qualche mese dopo lo convocherà per una partita di qualificazione mondiale contro ml'Uruguay, facendolo anche giocare qualche minuto, ma poi la porta della nazionale rimarrà chiusa fino allo scorso maggio e anche adesso il suo posto sembra abbastanza precario.

Tutto questo non per dire che Icardi dovrebbe giocare titolare nell'Argentina, perché magari con il senno di poi diremo che è diventata campione del mondo grazie a Benedetto che non toglie spazio a Messi, ma per ricordare la differenza fra club e nazionale in un'epoca in cui tutto sembra sia in vendita.

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