Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912
Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi
Il Manchester City ha vinto la seconda Premier League da quando è allenato dal tecnico catalano. Un torneo la cui forza mediatica è tale da limitare la delusione per l'ennesimo fallimento in Champions...
Il Manchester City ha vinto la sua seconda Premier League nell’era Guardiola, la quarta da quando il club è di proprietà, di fatto, degli Emirati Arabi. Un successo dal peso specifico enorme, visto che seconda e quarta sono arrivate le finaliste di Champions League (Liverpool e Tottenham) mentre terza e quinta sono le finaliste di Europa League Chelsea e Arsenal. Al sesto posto il club più ricco del mondo dopo Real Madrid e Barcellona, cioè il Manchester United. Primo degli umani il Wolverhampton settimo, primo allenato da un tecnico inglese il Crystal Palace dodicesimo, sotto la guida di Roy Hodgson, quasi 72 anni.
Ma tornando al Manchester City, inutile raccontare una squadra e uno stile di gioco noti in tutto il mondo, utile (almeno secondo noi, ce lo diciamo da soli) sottolineare almeno due cose. La prima è che da quando il City è entrato nell’attuale dimensione finanziaria, cioè dal 2008, è stata la squadra più stabile ad alto livello in Premier League. Che nelle ultime undici stagioni ha vinto appunto quattro volte, contro le tre del Manchester United e del Chelsea e la sola dell’intruso Leicester City di Ranieri. Da notare che dopo il decimo posto della prima stagione sotto Al Mansour, che si era presentato strapagando (45 milioni) Robinho al Real Madrid, il City è arrivato quinto e poi non ha più fallito la qualificazione alla Champions League. Torneo dove in proporzione ai mezzi il City, ben prima di Guardiola, ha fatto fra il male e il malissimo: nelle ultime otto stagioni una semifinale (allenatore Manuel Pellegrini), due quarti di finale, tre ottavi e addirittura due eliminazioni già nei gruppi. In altre parole, fra le corazzate della Premier League il City è quella con il rendimento casalingo più costante ed il merito è stato anche dei pochi cambi di allenatore. Dopo l’addio a Mark Hughes quattro anni di Mancini, tre di Pellegrini e tre di Guardiola: cicli normali, anzi brevi, per l’Inghilterra di una volta, ma sempre lunghissimi in rapporto a Italia o Spagna.
La seconda cosa da sottolineare di questo trionfo del Manchester City, che ha allungato a 29 stagioni l’astinenza da titolo del Liverpool (che nell’era Premier League mai è stato campione), è che il campionato inglese sia l’unico fra quelli europei top che abbia un’importanza paragonabile alla Champions League, almeno mediaticamente e commercialmente. Non c’è bisogno di grandi analisi per capire come il titolo nazionale di Juventus, Barcellona e PSG sia stato preso dai rispettivi ambienti in modo diverso rispetto a come sia stato preso quello del City. Questo non toglie che Guardiola abbia vinto le sue Champions League soltanto con un Barcellona stellare (che comunque dopo di lui ne ha conquistata solo un’altra) e che alcune delle sue belle sconfitte con Bayern e City siano arrivate con modalità vicine al suicidio: probabilmente l’ultima contro il Tottenham è stata la peggiore di tutte. E solo una volta, contro l’Atletico Madrid di Simeone (ai tempi del Bayern) ha davvero sfiorato l’approdo in finale. Poco, in proporzione ai soldi fatti spendere. Poi i guardioliani osservanti confrontano i suoi campionati con quelli vinti da Serse Cosmi e gli antiguardioliani le sue percentuali in Champions con quelle di Zidane, in un eterno giochino. Senza contare i più corretti confronti con il City di Mancini e di Pellegrini, attraverso cui si può dimostrare ciò che si vuole. Probabile che una Champions League articolata come un vero campionato europeo sarebbe vinta dal City di Guardiola, ma con i ‘se’ possiamo dire tutto. Rimane il fatto che la dimensione attuale del City di Guardiola sia la Premier League. Ed è proprio la Premier league a renderlo grande.
Condividi
Link copiato