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Il Manchester City ha diversi problemi, ma va detto che la sua crisi è legata soprattutto al passo del Liverpool. Di certo Kompany non è stato rimpiazzato, forse volontariamente...
“Non siamo al livello di Liverpool, Manchester United, Barcellona, Real Madrid e Juventus: dobbiamo guardare in faccia alla realtà, che dice che non siamo competitivi”. Chi ha pronunciato queste parole qualche ora fa? L’allenatore del Watford o della Spal? Pare sia stato Pep Guardiola, spiegando a Sky Sports la crisi del suo Manchester City. Crisi relativa, ovviamente.
Terzo in classifica in Premier League, ma dopo la sconfitta di sabato contro lo United andato a 14 punti di stacco dal Liverpool e dal suo passo mostruoso (46 punti in 16 partite) e anche 6 sotto il Leicester City che non sarà la favola del Leicester di Ranieri ma è diventato una realtà solidissima, complice anche una ripartizione dei diritti televisivi che va in direzione dell’equilibrio competitivo. Conta la divisione, ancora più della somma.
Il peggior inizio di stagione nella carriera del Guardiola allenatore, che del resto si è articolata fra il Barcellona con la migliore rosa di sempre, il Bayern Monaco e il Manchester City dalle spese no limits ed il fair play finanziario tranquillamente aggirato. In 4 stagioni di Guardiola il City ha speso sul mercato 528 milioni di euro più di quanti ne abbia incassati (178 nel 2016-17, 226 nel 2017-18, 25, 99 nel 2018-19), parlando solo dei cartellini e non delle commissioni o dei mega-ingaggi anche per mezze figure. Più di qualsiasi altra concorrente inglese ed europea.
Non c’è bisogno di grandi analisi per intuire che il problema del City è la difesa, ben al di là di quanto dicano le statistiche. Difesa che non ha retto alla fine della carriera di Vincent Kompany: forse non un marcatore impeccabile, ma di sicuro un grande leader e un giocatore intelligente. L’incredibile scelta di Guardiola è stata quella di non sostituirlo, nemmeno con un pari ruolo di livello inferiore. Sono arrivati due esterni, destro e sinistro come Cancelo (dalla Juventus, è stato più in panchina che in campo) e Angelino (dal PSV), ma a fianco di Stones come centrale Guardiola ha preferito modificare geneticamente un centrocampista di prima fascia come Fernandinho, ritenendo troppo banale per lui e per i suoi cultori continuare ad insistere su Otamendi, che a inizio stagione era titolare. Con Fernandinho centrale sono arrivate 3 delle 4 sconfitte stagionali.
A questo bisogna aggiungere l’ossessione Champions, che è più di Guardiola che dei tifosi del City, il declino fisico verticale di un uomo chiave come David Silva e la mollezza di Gabriel Jesus, unita adesso all’infortunio di Aguero. Detto questo, ben dietro il City ci sono Chelsea, Manchester United, Tottenham e Arsenal, cioè quelle che pigramente continuiamo a considerare le grandi anche se il sistema Premier League sta facendo crescerre una buona classe media (su tutte il citato Leicester City e il Wolverhampton).
Siccome anche i poveracci oggi hanno lover e hater, il discorso per Guardiola vale all’ennesima potenza. La realtà è che il Liverpool ha un passo pazzesco, da squadra in missione per riprendersi il titolo dopo trent’anni (mai l’ha vinto nell’era Premier league) e che comunque in diverse occasioni ha raddrizzato nel finale partite che sembravano perse, mentre il City pur sbagliando poche volte si è ritrovato subito distante. Un po’ poco per dire che il City di Guardiola non c’è più e che Guardiola è finito: di base, nonostante il suo neovittimismo mediatico, sulla panchina della Juventus o del Barcellona non avrebbe più possibilità di alzare la Champions rispetto a quelle che ha a Manchester.
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