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Dal Milan mondiale alla Capitale: "L’esperienza a Roma è stata un’emozione unica, quanti bei ricordi la Coppa vinta"
ROMA - Lasciare il Milan a 24 anni per iniziare una nuova avventura. Abbandonare il club più forte e titolato del mondo per rimettersi in discussione in una Lazio che prova a risalire la china; accantonare i gol di Van Basten, le giocate di Gullit e i consigli di Capello per provare a scrivere una nuova avventura, dove recitare un ruolo da protagonista. Questa in sintesi la storia di Diego Fuser, uno dei centrocampisti più forti e completi che il panorama calcistico italiano è stato in grado di proporre negli Anni Novanta. Con il Milan ha vinto uno scudetto, una Champions League, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale. Con la Lazio ha alzato al cielo la prima Coppa Italia della gestione Cragnotti con la fascia di capitano al braccio, battendo in finale proprio il Milan di Capello. "Da una parte quella fu una sorta di chiusura del cerchio, dall’altra penso che l’epilogo più giusto per la mia esperienza laziale sarebbe stata la vittoria dello scudetto. A Roma ho passato sei anni bellissimi e credo di aver contribuito alla costruzione di una squadra che con Eriksson ha vinto tutto. Credo che per me e per tutti quelli arrivati all’inizio del ciclo Cragnotti, sarebbe stato bellissimo portare a casa lo scudetto. È stato un vero peccato andare via prima. Se sento mio un po’ del tricolore del 2000? Purtroppo no. Non posso sentirmi partecipe di una cosa alla quale non ho preso parte. Mi resta il ricordo di anni bellissimi, ma ripeto, è un peccato pensare di essere arrivato a Roma insieme a tanti calciatori, aver lavorato tanto per far diventare la Lazio grande e poi pensare che a festeggiare le vittorie qualcuno del mio gruppo sia rimasto, altri no".
L’avventura laziale di Diego Fuser inizia l’estate del 1992. Il centrocampista arriva dal Milan dove ha contribuito a vincere lo scudetto. Fuser non è un titolare fisso, ma Capello lo tiene sempre in considerazione. Il 3 maggio del 1992 segna, proprio contro la Lazio, il gol decisivo per la vittoriadello scudetto. "Quel Milan era una macchina quasi perfetta. Se leggiamo i nomi di quella squadre ci vengono ancora oggi i brividi. Sono stato allenato da due tecnici straordinari. Sacchi era avanti rispetto agli altri. Ci diceva sempre che il singolo era importante, ma mai come la squadra. Capello aveva grande mentalità e sfruttava al massimo i suoi giocatori. Era una squadra, un club, che aveva la mentalità vincente e che ti preparava a vincere". Ma, a soli 24 anni e nel pieno della sua crescita, Fuser decide di lasciare Milano. "Stavo bene, anche se non ero un titolare fisso venivo preso in considerazione. Non ho giocato solo la finale di Coppa Campioni, altrimenti le avevo fatte quasi tutte. Ma avevo voglia di migliorare. Ero giovane e volevo giocare con continuità. Solo giocando puoi crescere e capire come migliorarti. La Lazio fu una grande opportunità, che presi al volo".
L’estate del 1992 segna l’avvento di Sergio Cragnotti alla guida del club capitolino. Il nuovo patron fa subito capire le sue reali intenzioni, chiudendo la sua prima campagna acquisti con gli arrivi di Signori, Gascoigne, Cravero, Favalli, Bonomi, Marcolin e Diego Fuser. "Era una Lazio che stava crescendo. Si capiva che c’era voglia di riportarla ai massimi livelli. C’era un progetto ed è stato rispettato. Con me sono arrivati tanti campioni. Penso a Signori, Boksic, Casiraghi, Marchegiani. Tutti giocatori con i quali abbiamo iniziato a costruire un ciclo". La sua prima stagione laziale è eccezionale: Fuser segna dieci gol e contribuisce al ritorno in Europa dei biancocelesti dopo sedici anni. "Alla guida della Lazio c’era Dino Zoff. Un uomo eccezionale e un grande tecnico che mi ha insegnato tante cose. Ho saputo a distanza di tempo che ha fatto di tutto per portarmi a Roma. Iniziare un’avventura del genere sentendo la fiducia del proprio tecnico è importante e credo di averlo ripagato sul campo. Arrivavo da anni al Milan in cui giocavo con lo stesso modulo e quindi sono stato favorito. Certi movimenti mi venivano naturali". Eccezionale poi l’intese con Beppe Signori. "Giocare al suo fianco è stata la mia fortuna. Ragazzo eccezionale e attaccante incredibile. Quello che ha fatto alla Lazio è sotto gli occhi di tutti. E a Roma è esploso in maniera incredibile. Ti racconto questo aneddoto. Noi siamo arrivati insieme e sia io che lui giocavamo sulla fascia. Io a destra e lui a sinistra. Non era ancora un bomber micidiale. I primi giorni, dopo qualche allenamento lui venne da me e mi disse: Diego, vediamo quest’anno chi fa più gol tra me e te. Letto oggi, sembra una quanto lui sia cresciuto in quella Lazio, diventandone il simbolo".
Due anni a correre sulla fascia destra con Dino Zoff, poi l’arrivo di Zeman e la trasformazione da ala destra a centrocampista. "Con lui ho imparato a fare un altro ruolo. E lo ringrazierò per sempre. Lo porto nel cuore. Molti lo vedono come un musone e sembra che non rida mai. In realtà insieme ci siamo fatti un sacco di risate. Tranne che nei ritiri. Dopo i primi giorni c’era gente che voleva smettere di giocare al calcio piuttosto che continuare quella tortura". Sei stagioni in maglia biancoceleste, 242 presenze e 42 gol. "Il più bello lo segnai contro il Cagliari dopo un assist di Paul Gascoigne. Una mezza rovesciata bellissima. Che giocatore Gazza e che persona. Ci ha fatto divertire tanto. Una volta si presentò al campo di allenamento con una moto da cross. Un giorno lasciò gli spogliatoi dopo l’allenamento della mattina ed era quasi rasato, arrivò per la seduta pomeridiana con la coda e i capelli lunghi. Indimenticabile quella volta che a Seefeld, in ritiro, rubò la macchina da golf e cominciò a girare come un pazzo. Persona incredibile e giocatore eccezionale. Peccato per gli infortuni e per i problemi che lo hanno fermato, perché poteva fare cose incredibili". E non è il solo in quella Lazio ad aver ottenuto meno in relazione alle qualità tecniche. "Su tutti Alen Boksic. Noi lo chiamavamo la transiberiano perché era talmente forte fisicamente che non lo potevi fermare. Impressionante. Una forza della natura e una persona con la quale andavo molto d’accordo. Peccato che sotto porta non fosse freddo. Non ha mai segnato troppi gol, altrimenti sarebbe stato un attaccante completo".
La sua ultima stagione laziale si chiude con la vittoria della Coppa Italia, alzata al cielo dopo la doppia finale con il Milan. "La Lazio è stata l’esperienza più bella della mia vita. Sei anni bellissimi chiusi con quella Coppa Italia alzata al cielo". L’estate del 1998 passa al Parma e dopo tre anni, il ritorno a Roma. Ma sulla sponda giallorossa. "So che tanti tifosi laziali lo hanno considerato un tradimento e li capisco. Il lavoro è il lavoro, ma l’amore per la Lazio resta per sempre". L’immagine di Diego Fuser che alza al cielo la Coppa Italia è diventata un poster, mostrato con orgoglio dalla società all’ingresso della tribuna d’onore. "Una cosa che mi inorgoglisce. Appena si potrà, dovrò tornare a Roma a vedere una partita della Lazio dal vivo. Per rivivere certe emozioni".
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