Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi
Miglior marcatore di tutti i tempi nella storia rossoblù, con cui vinse quattro scudetti, centravanti della formazione che "tremare il mondo fa", il suo gol alla Cecoslovacchia permise agli Azzurri di Vittorio Pozzo di laurearsi campioni del mondo nel 1934
Roma, 10 giugno 1934, Stadio del Partito Nazionale Fascista: è da questa data che è bello cominciare a raccontare la figura di Angelo Schiavio, miglior marcatore di tutti i tempi nella storia del Bologna, gloriosa figura non solo dei rossoblù, unica squadra di cui vestì i colori nella nostra massima divisione, ma anche della nazionale italiana, di cui faceva parte ai Mondiali del 1934. Edizione importante non solo perché era la prima alla quale partecipavano gli Azzurri, ma anche perché, essendo l’Italia il paese organizzatore, portava con sé l’interesse politico del governo di Mussolini ad arrivare alla vittoria per fini propagandistici.
In uno stadio pieno di spettatori che sono arrivati a spendere sessanta lire per varcare gli ingressi, arroventato da un clima già oltremodo estivo, Italia e Cecoslovacchia scendono in campo per contendersi la coppa. Lo stato maggiore del nostro governo è allineato in tribuna, dove il Duce siede proprio accanto al presidente della FIFA.
Partita alla quale la nostra nazionale non arriva favorita, incrinata da un gol di Puc che a poco più di un quarto d’ora dalla fine allontana l’Italia dal suo obiettivo, rimesso a fuoco solo dal pareggio di Orsi arrivato all’81’. Servono i tempi supplementari per decretare la vincitrice; serve il carattere indomito di Angelino Schiavio a mettere alle spalle del monumento Planicka il gol che ci consente di agguantare la nostra prima coppa del mondo, nonostante la fatica che lo fa stramazzare esausto al suolo, che si confonde con la gioia e l’emozione condivisa con compagni e tifosi, ormai fusi e confusi dalla felicità che si irradia sul campo al pari del caldo obnubilante.
È l’ultimo gol del Mondiale, l’ultimo di Schiavio con la maglia azzurra, indossata anch’essa per l’ultima volta in quell’occasione. Angelo ha 29 anni e raggiunge il momento apicale di una carriera cominciata poco più di dieci anni prima in Promozione nelle file della Fortitudo Bologna. Gli rimangono ancora quattro stagioni da giocare, di cui le ultime due, a guardare presente e reti del suo personale tabellino, vissute da comparsa.
Ma fa ancora in tempo a vincere da protagonista il primo scudetto che interrompe la cinquina di affermazioni della Juventus degli anni Trenta. Sono 9 le sue marcature in quell’annata 1935-36, è ancora lui il centravanti di quel Bologna “che tremare il mondo fa”.
Ma torniamo indietro, alla prima esperienza con la Fortitudo. Basta il tempo di una stagione per farsi notare dal Bologna Football Club, col quale esordisce nella prima gara ufficiale il 28 gennaio 1923. È un vero e proprio debutto in società: avversaria la Juventus, schiantata 4-1 pur senza segnare.
Angelo non ha ancora compiuto diciott’anni, un’età alla quale ha rischiato di non arrivare: a sei mesi, infatti, la sua vita era in pericolo per un enfisema polmonare, curato dal professor Bartolo Nigrisoli con un intervento alla schiena effettuato senza anestesia che gli provocherà un dolore al quale sarà riconoscente per il resto della sua lunga vita.
È l’ultimo di otto fratelli, l’unico nato a Bologna da una famiglia di commercianti lombardi poi trasferitisi nel capoluogo emiliano, l’unico a dedicarsi con passione all’inseguimento del pallone. E quindi va bene il calcio, ma solo dopo l’attività di famiglia: nei primi anni giovanili Angelo, con la squadra, si allena esclusivamente un giorno a settimana, il giovedì. Gli altri deve farlo da solo: alla mattina, prima di andare a lavorare, corre. La sera, finito con l’attività di famiglia, termina la giornata in palestra.
Forse è anche per questo che, pur non essendo un colosso, troverà nella reattività fisica un punto di forza del suo modo di giocare che, nella narrazione tramandata dai suoi contemporanei, lo fa apparire addirittura un antesignano di Cristiano Ronaldo. Chi lo vide scendere in campo, infatti, lo raccontava di palleggio sicuro, dotato di un incedere di corsa leggermente oscillante che, in velocità, lo rendeva difficilmente contenibile dai difensori opponenti. Oltretutto aveva uno scatto pronto in grado di costruire movimenti potenti e veloci che lo portavano a tiri simili a fucilate, spesso a coronamento di azioni impostate su dribbling ben riusciti.
Insomma, un attaccante a tutto tondo che non aveva paura a fronteggiare anche le battaglie più rudi nelle arene di campi ancora imperfetti.
È passata alla storia la sua feroce rivalità con Luisito Monti, soprannominato in Argentina “El doble ancho” (“Armadio a due ante”) per la sua ruvida forza fisica, fatta di scontri senza esclusione di colpi, che cominciò il giorno di ferragosto del 1929, quando il Bologna era in tournée in Sudamerica e Monti sottopose alle sue cure il frizzante Angelo.
Ancor più rusticano il duello che vide i due protagonisti nel corso di Juventus-Bologna del 1° maggio 1932, quando El doble ancho rifilò una zampata sul ginocchio a uno Schiavio già a terra. Episodi che portarono i due a coltivare una reciproca acredine che solo la saggezza e la capacità di mediazione di Vittorio Pozzo riuscì in qualche modo a ricomporre al fine di avere a disposizione entrambi in quel Mondiale del 1934.
Angelo era fatto così, era generoso per natura: per il Bologna giocò quasi sempre senza percepire alcun ingaggio (al netto delle ultime stagioni, quando ottenne qualche premio e gli venne data una Lancia); fuori dal campo era impossibile riuscire a pagargli il conto al ristorante.
Del resto ebbe modo di dichiararlo lui stesso: pur di giocare nel Bologna avrebbe pagato di tasca sua. Un’affermazione che anni dopo spinse un altro monumento della storia rossoblù ad omaggiarlo: “A uno così non gli portavo neanche le scarpe”, ebbe a dire di lui Giacomo Bulgarelli. Forse il riconoscimento più alto alla figura di Angelo Schiavio dopo la vittoria della coppa del mondo del 1934.
Condividi
Link copiato