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Il 6 febbraio 1958, di ritorno dalla trasferta di Belgrado, 8 giocatori dei Red Devils persero la vita in un tragico incidente aereo
Chi erano i Busby Babes? Per rispondere a questa domanda è necessario tornare all’Inghilterra degli anni Cinquanta e guardare alle vicende del Manchester United di quel periodo. Matt Busby era l’allenatore della squadra che aveva vinto il campionato nel 1956 e nel 1957 grazie a una rosa dall’età media molto bassa, che cercava di basare la sua forza su ragazzi di Manchester e dintorni da plasmare come calciatori e istruire come uomini. Allo scopo Busby, uno scozzese brusco nei modi ma dal cuore gentile, si avvaleva di tre collaboratori: Jimmy Murphy, che seguiva il settore giovanile dello United; Bert Whalley, il tecnico che tutte le settimane spiegava ai giocatori i loro difetti affinché si migliorassero; e Tom Curry, che, tra gli altri, aveva l’incarico di sostenere la crescita morale dei ragazzi. Fu la loro opera a creare quella squadra alla quale il destino recise un pezzo di futuro che solo un doloroso e paziente lavoro, fortificato dalle lacrime di una tragedia, riuscì a ricostruire.
Una tragedia che indossò le vesti di un incidente aereo, come già era capitato al Grande Torino, che perì a Superga nel 1949. Analogia di due destini che non ebbero compassione delle giovani vite di ragazzi che la morte non potevano sapere cosa fosse, che li rapì dal corpo di un aereo sfuggito alle procedure del suo regolare funzionamento. A Superga come a Monaco di Baviera, il 6 febbraio 1958, quando il velivolo che riportava a casa lo United dalla trasferta di Belgrado si era fermato per un rifornimento di carburante. Il Manchester aveva guadagnato l’accesso alle semifinali di Coppa dei Campioni pareggiando 3-3 con la Stella Rossa dopo la vittoria per 2-1 ottenuta all’andata. Nel freddo inverno tedesco, ripartire non sembrava facile: i motori si surriscaldavano, rendendo pericolosa la fase di decollo, provato due volte senza successo. Il terzo tentativo, al quale l’ingegnere di stazione era contrario, fu fatale: l’aereo non raggiunse la velocità necessaria per sollevarsi da terra e andò a schiantarsi contro una casa. Furono otto i Busby Babes che abbandonarono familiari, compagni e tifosi al dolore lancinante che scava la morte nell’anima: i decessi di Mark Jones, David Pegg, Roger Byrne, Geof Bent, Eddie Colman, Liam Whelan e Tommy Taylor furono immediati, mentre quello di Duncan Edwards avvenne due settimane più tardi. Morirono anche il segretario Walter Crickmer e i collaboratori di Busby Tom Curry e Bert Whalley. Murphy, che quel giorno era impegnato per conto della nazionale, sfuggì a quel dramma. Anche Busby riportò gravi ferite ma, alla fine, si salvò, tornando a lavorare alla ricostruzione dello United.
La squadra continuò la stagione con senso di orgoglio tipicamente inglese per onorare quei ragazzi che dettero se stessi per la gloria della loro squadra. In Coppa dei Campioni cedette in semifinale al Milan mentre in campionato arrivò al nono posto. Provò a vincere la FA Cup, ma in finale si arrese al Bolton: un 2-0 mai in discussione, un risultato che suonava come un invito alla squadra a non ripiegarsi malinconicamente sul ricordo di chi non c’era più e a guardare avanti con determinazione proprio per onorarne la memoria. In questo senso anche la Football League fu perentoria, opponendosi alla partecipazione dello United alla Coppa dei Campioni 1958-59 che l’Uefa e la FA avevano caldeggiato “in loving memory” e che non venne autorizzata per non essere stata ottenuta sul campo. Ma la storia dei Busby Babes ebbe un’eredità negli anni a venire che raggiunse il suo apogeo nel 1968, quando il Manchester United, guidato in panchina da Busby e sul campo da Bobby Chalton, Bill Foulkes e George Best, tutti sopravvissuti all’incidente di Monaco, vinse la Coppa dei Campioni.
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