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“Pierino la Peste” portò i rossoneri al trionfo segnando tre reti nella finalissima giocata il 28 maggio al Santiago Bernabeu
L’Apollo 10 scatta foto dalla Luna, mentre il Milan conquista l’Europa sei anni dopo il trionfo di Wembley. Il 28 maggio 1969, il Milan affronta l’Ajax a Madrid, allo stadio Bernabeu.
Sul pullman della squadra rossonera, il silenzio è totale, denso. Nereo Rocco, l’allenatore del Milan, sdrammatizza. «Chi non se la sente, non scenda dal pullman. Non ci serve gente che ha paura» dice. Negli spogliatoi ci sono tutti, tranne uno. Sì, proprio Rocco. È rimasto lui sul pullman, da solo. E la paura è soltanto un ricordo. Prati non ha dormito la notte prima della finale. È teso, anche se in campo c’è Gianni Rivera, che gli fa arrivare la palla sempre dove vuole, dove serve. La sfida finale inizia con quello che sembra un cattivo presagio, Prati raccoglie un assist di Anquilletti al limite dell’area, ma il pallone scheggia il palo alla destra del portiere Bals ed esce.
Cambia tutto al minuto 8. Rivera ispira Sormani che salta il terzino Hulshoff e crossa, Prati di testa supera il portiere fuori posizione. L’Ajax si sbilancia, il Milan raddoppia. L’esibizione di matematica applicata al calcio inizia con un guizzo artistico, il colpo di tacco di Rivera per Prati che da trenta metri calcia a mezza altezza, alla sinistra del portiere. Per segnare un gol così, un attaccante deve schiacciare bene con il corpo il pallone, che è leggero e rischia di impennarsi molto facilmente. Il terzo è un gol da centravanti d’area. L’ispirazione non può che arrivare ancora una volta da Rivera, che dribbla mezza squadra, va sul fondo, temporeggia e tiene palla. Hamrin e Sormani seguono l’azione ma Prati è più giovane e più veloce, chiude prima e affonda di testa. Il Milan vola, i giornali del giorno dopo scrivono che “Pierino la peste” vale un miliardo. Ed è un po’ come andare sulla Luna.
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