Salernitana-Napoli: Di Bartolomei e Maradona, due leggende immortali

Salernitana-Napoli: Di Bartolomei e Maradona, due leggende immortali

Due figure uniche dentro e fuori dal campo, icone eterne di un calcio che non c'è più. Ago in granata ha chiuso la carriera, Diego in azzurro ha scritto la storia

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Se qualcosa rimane, come canta De Gregori, qualcuno persiste, aggiungiamo noi: non solo, banalmente, nel ricordo; ma nell’esempio, nella realizzazione di ciò che è stato e che sembrava impossibile, più che improbabile; nel richiamo irresistibile del suo nome ogni volta che un qualche pretesto del tempo presente fa affiorare il suo nome; nel paragone spesso forzato con un tempo, un modo di essere, di vincere e di stare al mondo per molti aspetti non replicabili. Non potevano essere più distanti l’uno dall’altro, Diego Maradona e Agostino Di Bartolomei, per mille aspetti; forse più superficiali di quanto si pensasse all’epoca, col senno di poi. Non potevano che risultare simili, una volta sgombrato il campo da tutto quello che il tempo ha rimpicciolito, preservando ciò che conta davvero, mai sbiadito sotto il sole campano, ridente in un’immagine da cartolina, amaro e velato di una multiforme malinconia per chi sa sbirciare oltre il velo delle cose. Per chi ricorda quanto sapesse, insospettabilmente per i più, essere allegro e scanzonato sotto un ci- piglio di perenne seriosità Ago; per chi rammenta quale struggimento potesse celarsi nel fondo più scuro dell’anima di Diego, dietro al clamore roboante degli eventi, al frastuono di conquiste memorabili e rovinose cadute esistenziali, per rumorose o silenti che fossero. 

Diego e Ago, due condottieri

Hanno guidato una squadra e un popolo, termine quest’ultimo ben diverso da pubblico, che è cornice, o folla, che è solo rumore. Gli escamotage geniali di Corrado Ferlaino, tra buste vuote depositate in Lega e ingenti prestiti bancari per portare Diego a Napoli, nell’estate del 1984, dopo i malumori catalani e una gamba ricostruita. La discesa negli inferi della Serie C in quella del 1988, senza battere ciglio, per Ago, dopo quell’ultima stagione di A a Cesena e con una vita di Roma e tre anni di Milan alle spalle, suggellando una carriera di unanime rispetto con due anni di amore incondizionato. Entrambi davanti al mare, specchiando nei riflessi salmastri due uomini agli antipodi e al tempo stesso due condottieri identici per il seguito che hanno riscosso; per la gioia che hanno diffuso anche e soprattutto nell’ombra di vicoli che null’altro avrebbero avuto mai da festeggiare. E allora, inquadrate con lo sguardo di chi ha gioito per merito loro, hanno lo stesso valore le coccarde tricolore dei due scudetti napoletani, le riproduzioni di cartone della Coppa Uefa e la promozione in Serie B dell’estate salernitana del 1990, quando Ago chiudeva in una teca gli scarpini che aveva sempre lucidato da solo, non permettendo a nessun altro di mettervi mano e Diego si apprestava a disputare la Coppa del Mondo italiana, con il secondo scudetto fiammante sul petto e un titolo mondiale che avrebbe difeso fino alla finale dell’Olimpico contro i tedeschi, quando in mondovisione avrebbe ricordato i natali incerti a tutti quelli che fischiavano l’inno della sua terra. E alla fine di entrambi torniamo a dire che al gioco hanno devoluto il meglio di loro stessi, entrambi felici entro quelle linee di gesso più che in ogni altro posto. 

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