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Intervista al doppio ex, che dopo una vita nella Fiorentina ha trascorso anni importanti in maglia rossonera e azzurra con degli exploit in Europa
Quando si pensa a Luciano Chiarugi, l’identificazione con la Fiorentina è pressoché immediata. Cresciuto nel vivaio viola, vincitore di uno scudetto storico, poi successivamente allenatore quando c’è stato bisogno di una mano e così via. “Cavallo pazzo”, come veniva soprannominato per il carattere ribelle e lo spirito libero, ha legato però il suo nome e la sua carriera anche ad altri club, due in particolare, in cui è riuscito a esprimersi ai massimi livelli, sia in Italia che in Europa: "Alla Fiorentina sono legatissimo, è la squadra per cui tifo ancora oggi all’80%. Lì ho vinto un campionato e fatto il massimo. Però subito dopo sono andato al Milan, che mi ha rigenerato, e in seguito sono passato al Napoli, un’altra piazza in cui sono stato benissimo. Ecco perché per questa partita avrò il cuore diviso a metà. Chiunque vinca, sarò contento. Farò il tifo per il bel calcio, ringraziando a prescindere queste squadre per aver portato l’Italia così avanti in Europa".
Si è divertito, sia al Nord che al Sud. In rossonero, però, ha vissuto probabilmente il momento di massimo splendore della sua carriera: "Va detto che giocavo in una grandissima squadra. Da Rivera a Bigon, passando per Schnellinger, Benetti e tutti gli altri. Quella formazione la ricordo a memoria, perché credo che mi abbiano veramente dato tanto e aiutato. Se ho fatto la carriera che ho fatto, buona parte del merito è del Milan". Che nell’estate 1972 pagò la bellezza di 400 milioni di lire per portarlo via dalla Fiorentina, vincendo un accesissimo derby di mercato con i cugini dell’Inter. Quell’ala talentuosa e guizzante, che con il dribbling secco diventava imprendibile per qualsiasi avversario, con la maglia del Diavolo è riuscita a mettere in mostra tutte le sue qualità, sia in ambito nazionale che soprattutto europeo. Quando usciva dal confine, infatti, Chiarugi rendeva ancora di più, come confermano del resto le sue 12 reti in 19 partite disputate in quei quattro anni tra Coppa Uefa e Coppa delle Coppe. Una di queste, nella stagione 1972-73, la prima in rossonero, l’ha anche vinta, da trascinatore della squadra guidata da Rocco. Tre gol tra andata e ritorno nella doppia sfida con i lussemburghesi del Red Boys Differdange al primo turno, poi una rete decisiva agli ottavi contro i polacchi del Legia Varsavia e infine, dopo essere rimasto a secco sia all’andata che al ritorno dei quarti con lo Spartak Mosca, ha messo la sua firma nelle semifinali con lo Sparta Praga (suoi entrambi i sigilli dell’1-0 a Milano e dell’1-0 in Repubblica Ceca), per poi chiudere in bellezza nella finale contro il Dirty Leeds di Don Revie giocata a Salonicco. Pure in quel caso, fu un solo gol a fare la differenza, quello di Cavallo Pazzo su calcio di punizione dopo appena 5 minuti di gioco: "Nella mia carriera non ho segnato moltissime reti, quelle però hanno un significato importante. Sono ricordi che non potrò mai dimenticare".
Un’impresa storica, che per poco non è riuscito a ripetere pure quattro anni più tardi. Sempre in Coppa delle Coppe, ma indossando la divisa del Napoli. Dopo quattro stagioni in rossonero, infatti, per Chiarugi è arrivato il momento di cambiare aria e trasferirsi in Campania. E anche lì, la “Freccia di Ponsacco” è riuscita praticamente subito a farsi amare: "Quando ero a Milano la gente era più riservata nei suoi contenuti, nel suo modo di approcciarsi. Potevo camminare serenamente per strada senza che nessuno mi dicesse niente. Magari trovavi il tifoso del Milan o quello dell’Inter che ti facevano una battuta, ma si fermava lì. A Napoli, invece, ovunque andavi eri un giocatore della squadra della città, mi conoscevano tutti. Poi io ero un giocatore che piaceva al pubblico, per il mio estro, la mia fantasia. Così, ovunque andavo era sempre festa, per me, la mia famiglia, i miei figli. Mi volevano bene e mi apprezzavano. E soprattutto mi davano tutto l’occorrente psicologico che mi serviva la domenica per fare la prestazione". La domenica, ma anche nelle partite infrasettimanali, visto che al suo primo anno al San Paolo ha sfiorato l’impresa in Europa. L’avventura si è fermata solo in semifinale contro l’Anderlecht, perché dopo aver vinto 1-0 nella partita d’andata a Napoli, la squadra guidata da Pesaola (senza Chiarugi) ha perso 2-0 in Belgio al ritorno. La partita di “Cavallo Pazzo”, però, è stata quella dei quarti di finale, quando ha messo al sicuro il passaggio del turno contro i polacchi dello Slask Wroclaw (il primo match in Polonia si era concluso 0-0) con la seconda rete partenopea, dopo quella di Massa: "Fu un peccato uscire in quel modo nella partita successiva. Quell’anno poi stavo andando molto bene, a differenza del secondo a Napoli in cui incontrai qualche difficoltà con Gianni Di Marzio in panchina. Però non ho rimpianti, è stata un’altra grandissima esperienza".
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