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Fu una sfida tra l'Italia di Boniperti e l’Ungheria di Puskas (doppietta) a inaugurare, il 17 maggio 1953, l’impianto nella zona nord della Capitale
Il Presidente della Repubblica era Luigi Einaudi, il giorno il 17 maggio del 1953. Una fiumana di persone, al limite e forse anche oltre la capienza che gli spalti, di candore marmoreo, ancora immacolati, potevano ospitare. Sole che batte non soltanto sul campo di pallone, avrebbe cantato De Gregori, ma nel nuovo stadio che non era stato concepito soltanto per il calcio perché doveva innanzitutto rispettare la sua “natura”, per come era stato progettato, di impianto polifunzionale.
Quel giorno, la Nazionale italiana di calcio capitanata da Giampiero Boniperti e guidata in panchina da Giuseppe Meazza si trovò ad affrontare la celeberrima, leggendaria Ungheria dei Puskas e degli Hidegkuti.
Fu un battesimo di sole e di sport, dunque, per lo “Stadio Olimpico” di Roma. Non di solo calcio, da subito, perché dopo la partita con gli ungheresi sarebbe toccato ai ciclisti che prendevano parte al trentaseiesimo Giro d’Italia fare il loro ingresso nell’impianto.
Come cornice, il complesso monumentale del Foro Italico, sotto la collina verdeggiante di Monte Mario e appena sopra il nastro scorrevole, tono su tono almeno all’epoca, del Tevere che andava e va lento lento: stavolta citiamo Baglioni, uno che nel suo concerto del 1998 avrebbe poi riempito l’Olimpico come un uovo, letteralmente. Del resto, Il nuovo stadio presentava una pianta ovoidale, simmetrica rispetto agli assi, con la particolarità di avere un campo di gioco collocato parecchio più in basso rispetto al livello del piano stradale.
Come fondamenta, il nuovo colosso con struttura di cemento armato rivestita di travertino aveva il preesistente “Stadio dei Cipressi”, costruito nella “Cittadella dello sport” il cui allestimento era stato fortemente voluto dal Duce, Benito Mussolini, il quale aveva poi affidato il progetto architettonico a Enrico Del Debbio, il quale si occupò di cambiare il volto dell’area che si colloca tra le pendici di Monte Mario, i colli della Farnesina e il succitato Tevere, all’altezza del punto in cui il suo corso segue un’ansa. Lo “Stadio dei cipressi” era stato inaugurato nel 1932 e deve la scelta del suo nome al tipo di vegetazione che all’epoca circondava l'impianto. La denominazione di ispirazione bucolica dell’impianto dell’epoca era stata scelta anche per sottolinearne la compatibilità con il paesaggio naturale che lo circondava.
Corre l’anno 1950 quando iniziano i lavori per uno nuovo stadio progettato dagli architetti Annibale Vitellozzi e Cesare Valle e dall'ingegnere Carlo Roccatelli. Il campo da gioco resta interrato, senza derogare rispetto al progetto originale, dunque; gli spalti si elevano fino a un'altezza superiore ai dodici metri; la capienza originariamente prevede la possibilità di ospitare 80000 spettatori, dei quali 55.000 nei posti a sedere e 25.000 in piedi.
Oggi il discorso non è ovviamente sostenibile, per una questione di sicurezza; però all’epoca utilizzando anche gli spazi delle scale e quelli adibiti alle soste la capienza totale arriva a 100.000 spettatori. Il fatto di avere il terreno di gioco - e di gara - a un livello molto più basso del piano stradale consente di sfruttare per le gradinate anche la parte interrata e questo è un elemento di salvaguardia per i grandi alberi precedentemente piantumati nell’area circostante i quali non devono essere tagliati e, anzi, oltre che per l’apporto di ossigeno sono utili anche per quanto riguarda l’impatto visivo, in quanto rendono più armonica la presenza del “gigante”.
Dopo la nuova inaugurazione nel 1953, viene subito ribattezzato “Stadio dei Centomila” per via del numero di spettatori che potrebbe contenere. Subito dopo l’assegnazione a Roma dei Giochi della XVII Olimpiade, quella indimenticabile del 1960, viene ribattezzato “Stadio Olimpico”, come lo abbiamo sempre conosciuto, fino alla data odierna, in ragione della quale gli auguriamo buon compleanno.
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