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Cinquant'anni fa i Lancieri vinsero la terza Coppa dei Campioni consecutiva, apogeo del loro stile di gioco rivoluzionario che si riverberava in diversi aspetti della società olandese
Possiamo stare qui a parlare a lungo di calcio totale, dimenticandoci spesso di un aspetto fondamentale: non era uno stile per "risultatisti", almeno a livello di nazionale. Perché l'Olanda, la grande Olanda del 1974, in quella Cappella Sistina che fu il Mondiale giocato in Germania dagli Oranje, alla fine tornò a casa a mani vuote.
Tutt'altro discorso per i club, dove comunque c'è una data che segna la fine di tutto, o quasi: 31 maggio 1973, l'ultima Coppa Campioni vinta dall'Ajax con Cruijff in campo, la terza consecutiva. Fu un 1-0 per i Lancieri contro la Juventus; gol lampo di Rep, sufficiente per sollevare il trofeo in quello che sarebbe stato il canto del cigno del "totalvoetbol".
Non c'era solo il pallone in quella Olanda a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. In una sorta di rinascimento culturale da ricondurre una certa idea di libertà molto tipica della regione sfociata nel movimento Provos, un movimento simil-anarchico che avrà il suo culmine in tutta la successiva ondata del '68. Un ambiente nato in Olanda dove anche l'architettura, in senso stretto, ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale; basti pensare proprio allo spazio fisico di questa terra, in perenne lotta contro l'acqua per non rimanere sommersa.
Poteva in una società del genere il calcio non ricoprire un ruolo fondamentale? Merito di due persone, soprattutto: Jack Reynolds, leggendario allenatore inglese che aveva guidato l'Ajax tra il 1915 e il 1947, e Michel de Klerk, uno dei leader dell’Amsterdamse School, capofila del movimento chiamato "architettura totale", di nuovo, o Amsterdamse School. Uno degli esponenti dell'AS, Dan Roodenburgh, avrebbe progettato il De Meer, vecchio stadio dell'Ajax prima dell'Amsterdam Johann Cruijff ArenA.
Tra gli allievi di Reynolds, invece, quel Rinus Michels allenatore dei Lancieri nella loro prima Coppa Campioni vinta, nel 1971, e futuro commissario tecnico della Nazionale. Nel 1973, invece, il terzo trionfo europeo consecutivo con il romeno Stefan Kovacs in panchina, discepolo a sua volta di Michels.
Olanda sul tetto d'Europa per club già nel 1970, con la vittoria del Feyenoord di (tra gli altri) Wim Van Hanegem, futura colonna della nazionale. Poi, il triennio dell'Ajax: nel 1971 sconfitto il Panathinaikos con Michels in panchina, poi le due italiane, Inter e Juventus, tra il 1972 e il 1973. Sempre con quello stile di gioco in cui i ruoli non erano fissi, ma intercambiabili, e dove alla tecnica di base si aggiungeva una fortissima componente atletica.
Quest'ultima partita, la finale del 1973, vinta in maniera "quasi italiana", quindi senza un dominio territoriale netto. Un golletto subito, quello di Rep, di testa, dopo cinque minuti, sovrastando Longobucco e beffando Zoff con una parabola imprendibile, e poi in controllo. Molto fuorigioco, quello sì, uno strumento non conosciutissimo in Italia e in cui la Juve cadde frequentemente.
Per il terzo anno consecutivo l'Ajax in finale cambiò il capitano, a conferma di quell'essere "totale" del gruppo, dove ciascuno, più o meno, poteva essere il leader emotivo della squadra. Nel 1973 per la prima volta toccò a Crujiff la fascia, mentre in precedenza a Keizer e Vasovic.
Era il 30 maggio 1973, cinquant'anni fa. Per altri 22 anni l'Ajax non avrebbe più vinto una Champions League. Ci riuscirà grazie a un gruppo di ragazzini terribili e a un altro allenatore visionario come Louis Van Gaal.
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