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Titolare nella squadra scudetto del 1974, simbolo per intere generazioni della lazialità, dal 1° luglio 2023 nel cielo biancoceleste brilla una nuova, splendente stella
Secondo le statistiche ha vestito la maglia della Lazio per 338 volte, segnando 51 gol. Ma mai nessun numero potrà mai raccontare davvero cosa Vincenzo D’Amico ha rappresentato per numerose generazioni di tifosi della Lazio. Chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare si è goduto la sua classe cristallina, i suoi dribbling, i suoi gol e la sua capacità di creare dal nulla un’occasione da rete. I più giovani lo hanno ascoltato nelle numerose telecronache televisive e nelle innumerevoli ore di diretta radiofonica e televisiva. Quando in pochi minuti era in grado di tenere alta l’attenzione e giudicare, senza peli sulla lingua, le vicende sportive che vedevano la sua Lazio protagonista. Il 1° luglio 2023 se ne è andato, a 68 anni, un grandissimo campione, dentro e fuori dal campo.
«Bob Lovati è il 51% della Lazio, io il 49%», amava ricordare tra il serio e l’ironico. Una battuta che nascondeva una grande verità. Vincenzo D’Amico ha scritto pagine indelebili di storia biancoceleste. Ha vinto da titolare inamovibile uno scudetto a 20 anni; poi, mentre intorno a se il giocattolo sembrava crollare sotto i colpi della giustizia sportiva, si è caricato sulle spalle i resti di una squadra travolta dal calcio scommesse (vicenda nella quale non è mai stato coinvolto) e ha portato una serie di ragazzini provenienti dalle giovanili, ad una salvezza improbabile.
Per la Lazio, anzi, con la Lazio, ha fatto tutto: ha vissuto gli anni più belli e quelli più difficili. Ha pianto la prematura scomparsa di Maestrelli e di molti componenti di quella rosa. È stato costretto anche ad accettare il sacrificio più estremo: lasciare il club (nell’estate del 1980) per trasferirsi al Torino e regalare soldi freschi alle disastrate casse societarie. Attraverso la sua cessione il club evitò il fallimento, ma a distanza di 12 mesi, fu proprio D’Amico a spingere per tornare. «La trattativa per il ritorno alla Lazio la feci io in prima persona, parlando con il presidente del Torino. Rinunciai a tanti soldi, ma la felicità non ha un prezzo», ricordò più volte.
Nella stagione 1982-83 trascinò la Lazio in Serie A da capitano, l’anno dopo (con Giordano infortunato e con una squadra alla disperata ricerca di punti salvezza) fu il protagonista assoluto della salvezza. Segnò gol importanti e decisivi. «Se ripenso ai rigori che tirai in quella stagione mi vengono i brividi: tutti sullo 0-0 per sbloccare il risultato o sull’1-0 per gli altri, per portare a casa un punto. Come li segnai? Non c’era modo di pensare: chiudendo gli occhi e cercando di non avere paura».
Con la Lazio ha giocato 14 campionati, poi, prima dell’avventura in Rai come commentatore televisivo, ha anche allenato i ragazzi del settore giovane. Lui che di crescere non ha mai avuto voglia, lui che ha sempre amato la vita, prendendola dal lato più scherzoso. Ha vissuto con leggerezza, ma con un’umanità fuori dal comune. «Tutti mi dicono sempre che con un’altra testa avrei potuto fare di più – amava ricordare in radio rispondendo alle solite domande di cronisti e tifosi – ma pochi sanno quanto ho sofferto per questi colori e quanto sono stato in grado di dare». Il calcio e la Lazio perdono tanto. Troppo. Vincenzo D’Amico è stato uno dei calciatori più belli da vedere e una delle persone più affabili e simpatiche con le quali discutere di calcio e di vita.
Ha seguito la Lazio fino alla fine, rallegrandosi del secondo posto in classifica ottenuto da Maurizio Sarri. Al calcio mancherà la sua imprevedibilità. Ai laziali mancherà la sua passione. I tifosi biancocelesti perdono l’ennesimo pezzo di una squadra bella, maledetta ed immortale. Un loro rappresentante che non mancava mai di unirsi a migliaia di “fratelli” la notte tra l’8 e il 9 gennaio a Piazza della Libertà per festeggiare il compleanno del club. Addio Vincenzo, da oggi il paradiso degli eroi biancoceleste, avrà una stella in più! La più brillante, fantasiosa ed imprevedibile.
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