Martin Vazquez parla di Napoli-Real Madrid del 1987

Martin Vazquez parla di Napoli-Real Madrid del 1987

L'ex blancos era in campo in quel primo turno di Coppa Campioni contro gli azzurri: «Un sorteggio assurdo, i vincitori della Liga contro i campioni d’Italia: tostissimo!»

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Rafael Martin Vazquez parla ancora un buonissimo italiano. Del resto la sua esperienza in Serie A al Torino dal 1990 al 1992 non gli ha lasciato solo bei ricordi ma anche un’eccellente padronanza della nostra lingua. I granata lo acquistarono dal Real Madrid, all’epoca era uno dei giocatori-cardine della squadra la cui ossatura era formata dalla celeberrima “Quinta del Buitre”, un gruppetto di coetanei tutti cresciuti nelle giovanili del club e radunati attorno a Emilio Butragueño. Martin Vazquez al Real Madrid tra le altre cose ha vinto due volte la Coppa Uefa, ma ha partecipato a diverse edizioni della Coppa Campioni, curiosamente fermandosi sempre al massimo in semifinale. Nel 1987-88 giocò contro il Napoli al primo turno di quella competizione europea, un doppio confronto che i Blancos vinsero complessivamente per 3-1. Abbiamo ripercorso quelle due partite con il diretto interessato.

 

Che sfida fu quella?

«Intanto va detto che fu il battesimo del fuoco sia per noi che per il Napoli in Coppa Campioni. All’epoca si sorteggiava il tabellone in maniera integrale, senza teste di serie. Per cui capitò questo accoppiamento tostissimo, tra noi che avevamo vinto la Liga e il Napoli campione d’Italia. Quindi ci fu subito un’eliminazione eccellente, quella del Napoli. Oggi naturalmente non potrebbe succedere, con i gruppi e i vari ranking Uefa».

 

Due a zero per voi all’andata e 1-1 al San Paolo al ritorno.

«Esatto, all’andata il Bernabeu a porte chiuse per via del famoso calcio di Juanito a Matthaeus nell’edizione precedente della Coppa Campioni, quando il nostro giocatore si fece cacciare durante la semifinale contro il Bayern Monaco e al ritorno a Madrid i tifosi del Real iniziarono a tirare bengala in campo costringendo l’arbitro a sospendere la gara per 12 minuti. Due partite a porte chiuse ci diedero, per quegli spiacevoli episodi, quindi Maradona dovette giocare in uno stadio vuoto a parte i giornalisti, i dirigenti e le famiglie: tutto abbastanza surreale». 

 

Cosa si ricorda di quel doppio confronto?

«Che ci preparammo molto bene. Il sorteggio ci aveva messo di fronte subito Maradona e noi non potevamo prendere il Napoli alla leggera. Per cui giocammo una partita molto accorta e riuscimmo a vincere 2-0 al Bernabeu e a pareggiare al ritorno 1-1. Di questa seconda partita ho ancora in mente l’aneddoto dell’uscita dall’aeroporto di Napoli dalla pista d’atterraggio invece che dal solito percorso che si fa in casi del genere».

 

Che accorgimenti prendeste su Maradona?

«All’epoca marcare a uomo era molto più diffuso che non oggi. Poi non c’era solo Diego, ma anche Careca e i tanti altri giocatori del Napoli campione d’Italia. Fu bravissimo contro di lui il mio amico Chendo, che riuscì a limitarlo quasi completamente senza ricorrere nemmeno a una quantità eccessiva di falli».

 

Poi avreste perso in semifinale, di nuovo. 

«Sì, avevamo una specie di maledizione. Non siamo mai riusciti ad arrivare in finale di Coppa Campioni pur avendo una rosa oggettivamente forte. In quell’edizione perdemmo in semifinale contro il Psv Eindhoven “senza perdere”, ma con due pareggi: purtroppo fu decisivo l’1-1 in casa, poi ci fu il pareggio 0-0 in Olanda. E pensare che avevamo eliminato lungo il percorso il Napoli, il Porto campione d’Europa uscente e il Bayern Monaco prendendoci la rivincita rispetto all’edizione precedente. Il Psv aveva una buonissima squadra, infatti avrebbe vinto la coppa, però come detto ci sentivamo superiori; quindi quell’eliminazione ci ha lasciato un rammarico superiore ad altre».

 

L’anno dopo, pure, fuori in semifinale contro il Milan.

«E io c’ero, sia nell’1-1 dell’andata che nel famoso 5-0 di San Siro, travolto come tutti in quella serata, ahimé, indimenticabile. Però lì fu oggettivamente diverso, il Milan era uno squadrone e la sconfitta ci stava. Certo, magari non in maniera così netta. Eravamo comunque in un processo di crescita, nel 1989 infatti con Toshack in panchina avremmo avuto un miglioramento netto».

 

Però usciste di nuovo con il Milan.

«In maniera del tutto diversa: 2-0 per loro a San Siro e al ritorno 1-0 per noi con un gol di Emilio Butragueno. Insomma, dovettero sudare. E ti dico che se li avessimo incontrati un turno più avanti e non agli ottavi di finale forse saremmo passati noi. Lo dico soprattutto perché qualche mese dopo la nostra eliminazione disputammo un’amichevole contro il Milan e vincemmo noi; quindi con cognizione di causa. Anche lì, però, sorteggio sfortunato e noi fuori prematuramente. I tifosi del Real Madrid comunque ricordano quella squadra con grande piacere anche se non abbiamo vinto la Coppa Campioni, eravamo un bel gruppo».

 

Questo Napoli-Real Madrid come lo vede?

«Sicuramente interessante, è una sfida tra due squadre che in Europa nella passata stagione hanno fatto benissimo. Il Real ha cominciato bene anche quest’anno nella Liga e in Champions, però lo sai meglio di me che in qualsiasi occasione fa sempre notizia, sia nei momenti positivi che negativi. Per fortuna Ancelotti è un allenatore con le spalle larghe, abituato a questi contesti, e leggere ogni tanto che viene messo in discussione mi fa da un lato sorridere e dall’altro mi mette tristezza. Come si fa ad attaccare uno così?».

 

Giocatori che saranno decisivi secondo lei?

«Senza dubbio le due stelle delle rispettive squadre: c’è Bellingham che da quando è arrivato a Madrid è stato devastante, mentre dall’altro lato impossibile non menzionare Osimhen, un attaccante capace di fare la differenza. In realtà io sostengo l’idea che ogni squadra sia un collettivo, per cui anche Bellingham e Osimhen, nonostante siano due campioni, non possono combinare nulla senza una grande prestazione del resto della squadra. Mi aspetto anche molto da Vinicius, che è appena rientrato dopo un infortunio muscolare, e da Rodrygo».  

 

Lei parla ancora bene l’italiano: porta sempre i baffi?

«No, ormai no. Lo so che nelle figurine il mio ricordo è legato ai baffi che portavo quando ero al Torino, però da tempo li taglio. Anche perché nonostante il tempo passi bisogna far vedere che si è ancora giovani, giusto? Comunque grazie per i complimenti, con l’italiano provo sempre a difendermi».

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