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Intervista all'ex terzino biancoceleste che in carriera vestì anche, tra le altre, le maglie di Cagliari e Milan
«La partita con il Feyenoord la ricordo bene. Giocammo un gran calcio e nonostante tante occasioni da gol non siamo riusciti a portare a casa un risultato che avremmo certamente meritato. Le gare contro gli olandesi in quella stagione furono particolarmente sfortunate. Sia quella disputata allo stadio Olimpico, sia il ritorno in Olanda». Giuseppe Pancaro, ex terzino che ha vestito la maglia della Lazio dall’estate del 1997 al giugno del 2003 (portando a casa uno scudetto, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, due Coppe Italia e due Supercoppe italiane), ricorda la trasferta sul campo del Feyenoord, giocata l’8 marzo del 2000 e valida per la seconda fase a gironi della Champions League. I biancocelesti superarono agevolmente il primo gruppo (regolando Bayer Levekusen, Maribor e Dinamo Kiev) e vennero sorteggiati con gli olandesi, il Chelsea e l’Olimpyque Marsiglia, nella seconda fase del torneo. Dopo aver battuto i francesi al Velodrome 2-0 (gol di Stankovic e Conceiçao) e aver pareggiato in casa con il Chelsea (nel giorno in cui Vialli e Mancini si sfidarono da avversari), i biancocelesti affrontarono due volte il Feyenoord. L’avversario che, sulla carta, era considerato il più abbordabile del girone, si trasformò in una sorta di bestia nera. All’Olimpico i biancocelesti passarono in vantaggio con una prodezza di Juan Sebastian Veron, ma poi nel finale subirono due gol del futuro milanista Tomasson, nel giro di cinque minuti (al 79’ e all’84’), che ribaltarono il risultato e regalarono agli olandesi un successo insperato: «Quella partita la ricordo benissimo, anche se la vidi dalla panchina. Eriksson, come da tradizione, fece un ampio turn over. Dominammo il match: segnammo nel primo tempo e sfiorammo più volte il raddoppio. Poi nel finale subimmo due reti ravvicinate su due nostre disattenzioni. Purtroppo in Europa e soprattutto in Champions League, nessuno ti regala nulla. E non puoi permetterti certe distrazioni».
L’otto marzo del 2000 la Lazio affrontò il match di ritorno contro il Feyenoord. Cosa ricorda della trasferta in Olanda?
«Giocare in certi campi non è mai facile, ma è molto stimolante. Se vuoi andare avanti nelle competizioni europee devi essere in grado di reggere la pressione e devo dirti che affrontare certe partite risulta altamente stimolante».
Il Feyenoord in casa, storicamente, è sempre un osso duro da battere.
«L’atmosfera su un campo come quello è indimenticabile. E infatti il Feyenoord in casa è sempre una squadra ostica da superare. La Lazio di quegli anni puntava sempre allo scudetto. Era quello il nostro primo obiettivo e al termine di quella stagione lo centrammo. Ma le sensazioni che certe gare e soprattutto certe trasferte ti lasciano, sono indimenticabili».
Cosa ricorda della partita?
«Che finì in parità, zero a zero e che, come quella giocata all’Olimpico, fu dominata da noi. Ci mancò il gol: ripeto, quelle partite contro il Feyenoord furono particolarmente sfortunate per noi. Fortunatamente siamo comunque riusciti a superare il girone».
Furono decisive le due partite successive.
«Alla luce della classifica finale, il pareggio con il Feyenoord in Olanda fu comunque un ottimo risultato. In Europa, con gironi così corti, è importante fare punti. Noi poi battemmo l’Olympique Marsiglia all’Olimpico con i quattro gol di Simone Inzaghi e, soprattutto, facemmo risultato nella gara successiva».
Allo Stamford Bridge, contro il Chelsea.
«Una gara indimenticabile. Facemmo una prestazione super, forse la migliore di tutta la competizione e riuscimmo a vincere grazie a un gol di Simone Inzaghi e ad una punizione super di Sinisa Mihajlovic».
Anche lì, a livello ambientale, immagino che non fu facile...
«Andare in Olanda, in Inghilterra, in Francia era sinonimo di trovare sempre ambienti caldissimi. Da grandi partite, con stadi pieni di calore. Sia quando affrontammo il Feyenoord, sia allo Stamford Bridge, l’atmosfera fu incredibile. Ma c’è una cosa che ricordo benissimo».
Quale?
«Che c’erano sempre tantissimi laziali, che ci sostenevano e ci facevano sentire a casa. Era suggestivo girare l’Europa, ma avere sempre un pezzo di Stadio Olimpico al tuo fianco. E spesso ci davano la carica per fare ancora meglio: per non deluderli».
La Lazio pareggiò con il Feyenoord, vinse contro Marsiglia e Chelsea, ma chiuse la sua avventura ai quarti di finale contro il Valencia.
«Lo so quello che stai per dire: che potevamo e dovevamo fare di più. E ti dico che la penso anche io allo stesso modo. Eravamo strutturati per fare meglio e per arrivare fino in fondo. Forse c’è mancata un po’ di esperienza. Quell’abitudine a gestire certi momenti di determinate partite, che a livello internazionale solo pochi di noi avevano. Penso al finale della gara d’andata contro il Valencia ad esempio».
La sua Lazio però in quei tre anni in Europa ha dominato, raggiungendo la finale di Coppa Uefa nel 1998, la vittoria in Coppa delle Coppe nella stagione successiva e i quarti di finale in Champions League. Cosa rappresentava per voi l’Europa?
«Difficile spiegarlo, anche perché, come sottolineavo prima, il nostro primo obiettivo era cercare di vincere lo scudetto. Eppure, nonostante tutto, in Europa abbiamo fatto dei risultati ottimi. Io ho potuto vedere con i miei occhi la crescita della squadra passo dopo passo. Il primo anno raggiungemmo la finale di Coppa Uefa, ma la perdemmo».
Contro l’Inter del miglior Ronaldo.
«Non eravamo pronti in quella stagione per arrivare fino in fondo. Eppure a un mese dalla fine della stagione eravamo in lotta per lo scudetto e in finale sia in Coppa Italia che in Coppa Uefa. Purtroppo arrivammo spompati e con tanti infortuni».
L’anno successivo andò meglio.
«La vittoria dell’ultima edizione della Coppa delle Coppe fu una grandissima soddisfazione. Diciamo che ci siamo presi anche una bella rivincita sull’anno precedente. Anche in quell’occasione ci furono delle trasferte bellissime: ricordo quella a Mosca contro la Lokomotiv, con il gol di Boksic e la finale di Birmingham, dove feci l’assist a Vieri per la rete del vantaggio».
Poi arrivò la prima Champions League giocata dalla Lazio.
«Prima ancora ci fu la vittoria in Supercoppa Europea contro il Manchester United. Stavamo iniziando a diventare internazionali. Stavamo iniziando a volerci confrontare con le migliori squadre in Europa. E devo dire che non sfiguravamo assolutamente».
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