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Era il 4 dicembre 1983, quando O Rey de Crocefieschi bloccò sul 2-2 la Juventus di Le Roi Platini
Sembrava essere diventata una di quelle leggi non scritte, perché aveva cominciato a stratificarsi con il conforto statistico di una tradizione recente: Roma che passa in vantaggio, poi la Juventus pareggia e rimonta portandosi a casa la partita per due gol a uno. Nella stagione precedente, vale a dire il campionato 1982-83, era finita sempre nella medesima maniera, tanto all’andata quanto al ritorno; al vecchio “Comunale” torinese come allo Stadio Olimpico.
Quando, il 4 dicembre 1983, la Roma di Nils Liedholm con il Tricolore cucito sul petto fa visita alla Juventus, Di Bartolomei e compagni sono reduci da alcune prestazioni al di sotto del loro valore. In realtà, il primo tempo che finisce a reti bianche traduce una certa superiorità del palleggio romanista e Falcão fallisce il vantaggio proprio allo scadere della prima frazione.
Nella ripresa, i giallorossi trovano meritatamente il vantaggio con un tracciante rasoterra, millimetrico e millimetrato, sbocciato dal sinistro di Bruno Conti. Immancabile, però, arriva la punizione a giro di interno destro di Michel Platini, come da recente, succitata tradizione. Ciò di cui i romanisti cominciano ad aver paura, visti i precedenti del dell’anno prima, puntualmente si materializza, tra l’altro con la firma dell’ex Mimmo Penzo.
Tutto da copione, ancora una volta, tanto che un esercito di titolisti si appresta a far uscire "Non c’è due senza tre". Quando inizia l’ultimo giro di lancetta utile, tutti pensano di sì. Quasi tutti: non lo pensa Nela che lancia lungo, non Bonetti che offre a Chierico una sponda di testa; allora non lo pensa neanche Chierico, che elegantemente controlla in palleggio e poi crossa in mezzo: a quel punto non lo pensa neanche Roberto Pruzzo, spalle alla porta nel cuore dell’area bianconera. Il Bomber capovolge se stesso, quando occorre. Alla Roma restava la speranza di un'azione, una sola. Pruzzo vede spiovere il pallone, sa che non avrà mai il tempo di controllare, girarsi e tentare di battere a rete: ha un cespuglio di maglie juventine attorno. Può fare soltanto una cosa. La fa. La rovesciata è talmente bella che chi la vede, in campo e fuori, soltanto in un secondo momento capisce che è anche vera. Tacconi le vola appresso, nell'aria immobile come il respiro di chi stenta a credere, fratturandosi un dito. È il novantesimo minuto più bello di sempre. Qualche secondo dopo il fischio finale di Casarin, Galeazzi lo raggiunge sul terreno di gioco: ancora incredulo e col fiato corto, lui trova le parole solo per dedicare il goal a Carlo Ancelotti, che nel primo tempo aveva visto terminare la sua stagione a causa dell'ennesimo infortunio al ginocchio.
Il commento più esaustivo arriva dallo spogliatoio bianconero, è una specie di editoriale di Sua Maestà Platini: «Risultato giusto, la Juventus la stavo vedendo male dopo il gol di Conti. Il due a due l’ha voluto Pruzzo, non è un jolly, l’ha voluto Pruzzo perché ha cercato di fare gol per tutta la partita».
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