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Contro la Turchia andò in scena il match di esordio di una nazionale ricca di talento e tradizione
Europa, siamo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Aria di forti cambiamenti, di rivolte, di crisi e, purtroppo, anche di guerre intestine brutali e cruente. Aveva cominciato la Germania, con la caduta del muro e l'unificazione della Repubblica Federale con quella Democratica e subito dopo c'è stato lo smembramento dell'Impero Sovietico e poi l'indicibile massacro iugoslavo.
Ultima, in ordine temporale, la Cecoslovacchia, scissa in due entità dopo un lustro trascorso a proporre e a trattare per una separazione pacifica ed indolore. Paradossi kafkiani di una vita vissuta da fratelli, spesso denominati come il maggiore - Praga - e il minore - Bratislava. L'impronta filocomunista contrapposta alla voglia di moderno, di occidente e di libertà. Diversi, ma pur sempre fratelli e dunque rispettosi l'un dell'altro, complici in uno stato unico che a questo punto, dopo 75 anni, si deve sdoppiare.
Una terra bellissima, vasta, fatta di diffidenza, ma anche di etica e tanta cultura per il lavoro. Genio e sostanza dunque, come la Nazionale di calcio, che ha brillato di luce propria sin dalla prima partita ufficiale riconosciuta dalla FIFA, nell'ormai lontanissimo 28 agosto 1920.
Erano i Giochi Olimpici di Anversa e il perentorio 7-0 rifilato alla Jugoslavia fu il preludio alla conquista di una medaglia d'argento, mai assegnatale dal Comitato Olimpico. Nel corso della finale contro i padroni di casa del Belgio, infatti, la Cecoslovacchia non digerì alcune decisioni di parte dell'arbitro e dell'organizzazione, abbandonando il campo al 39' sullo 0-2 e richiedendo la ripetizione della partita.
Era la selezione allenata da Josef Fanta, quella dei vari Antonin Janda, Frantisek Kolenaty, Josef Sedlacek e Miroslav Pospisil. Quella che porrà le basi per l'affermazione della scuola cecoslovacca, realtà tanto solida da valere ai suoi interpreti l'epiteto di "Maestri".
Il talento dei Puc, dei Silny e dei Planicka frutterà poi una finale mondiale persa a Roma nel 1934, per proseguire, meno di tre decadi più tardi, a Santiago del Cile, con un'altra finale iridata, stavolta persa al cospetto del Brasile di Didi, Vavà, Garrincha e naturalmente Pelé.
Quella cecoslovacca è classe cristallina e forza fisica, rigorosa organizzazione e cattiveria agonistica. Una nazione abituata a lottare e a combattere, riluttante con chi vuole infrangere le regole e soggiogare con la forza. Nel mezzo, un'influenza sovietica fin troppo evidente, nelle strutture così come nelle idee perlopiù filo-comuniste dei governanti.
Il Dukla Praga, uno dei club più conosciuti, nasce come squadra dell'esercito e come tale, essendo mero strumento di propaganda, gode di una certa immunità in patria. In patria, certo, ma in campo europeo sa offrire spettacolo tra la fine degli anni Cinquanta ed inizio Sessanta, grazie ad un gioco dinamico, "totale" e ad un mastino di centrocampo capace di fare tutto: Josef Masopust, Pallone d'Oro 1962.
Con lui in mezzo e Ladislav Novak in difesa, il Dukla si aggiudica otto volte il Campionato Cecoslovacco dal 1953 al 1966 e la Cecoslovacchia vince la prestigiosa Coppa Internazionale 1955-60, giunta alla sua ultima edizione, dopo le fatiche organizzative di spalmarla su cinque anni.
Poi arriva la Primavera di Praga, i carri armati in piazza e un primo irresoluto tentativo da parte del segretario del Partito Comunista Alexander Dubcek, di dividere Repubblica Ceca e Slovacchia.
Non è casuale il fatto che lo Slovan, a settembre di quell'anno, cominci la sua cavalcata verso l'Olimpo nonché, ad oggi, unico trionfo europeo di un club ceco o slovacco in un torneo UEFA: la Coppa delle Coppe 1968-69. I biancoazzurri non hanno fuoriclasse in rosa, ma indirizzano un messaggio forte e chiaro alla nidiata di talenti che sta per esplodere: tutto è possibile, basta volerlo. Si punta all' Europeo del 1976, con l'obbiettivo di far bella figura.
Ivo Viktor è un portiere eccellente e assieme a lui vengono convocati Zdenek Nehoda, Antonin Panenka, Marian Masny e Karol Dobias.
Nel frattempo Gustav Husak, il nuovo Presidente di Stato, riesce a placare gli animi della popolazione civile contribuendo al miglioramento del loro tenore di vita. Meno repressivo dei suoi predecessori, ma sempre con il vizio di controllare attraverso la STB (la polizia segreta dell'epoca). In campo la Cecoslovacchia non fa sconti a nessuno, dominando il suo girone di qualificazione con Inghilterra, Portogallo e Cipro e strapazzando l'Unione Sovietica ai quarti. Unita e decisa, nel 1976 si presenta alle final four in Jugoslavia da quarto incomodo, battendo l'Olanda ai supplementari e la Germania Ovest ai rigori e vincendo sorprendentemente il titolo.
Seguono anni di alti (pochi) e bassi (tanti) ed uno sbilanciamento nelle convocazioni sempre più a favore di Praga. L'ultima recita assieme avviene mercoledì 17 novembre 1993, a Bruxelles.
La separazione politica è già in atto da gennaio, ma i giocatori non guardano atlanti e mappamondi e preferiscono continuare a giocare sotto un'unica bandiera col sogno di agguantare i mondiali americani. Gli occhi però sono malinconici e la testa altrove. Tanti pareggi in quel girone, un sussulto contro la Romania e poi la partita in Belgio, decisiva, ma giocata con poco ardore. Quella del tecnico Jezek è già sostanzialmente la Repubblica Ceca, eccezion fatta per il talentuoso Moravcik e il subentrante Timko. Finirà 0-0 tra l'euforia dei Diavoli Rossi e le lacrime di una Nazione che non esiste più.
Ed eccoci a mercoledì 23 febbraio 1994. A un mese dalla fine dell'inverno, a Praga, c'è ancora qualche spruzzata di neve e la gente si riempie di gulash e di birra per combattere il freddo. Mala Strana e Stare Mesto sono avvolte da una foschia che conferisce ancor più fascino e mistero alla città boema e i calciatori si imbarcano per Istanbul emettendo nuvolette ad ogni respiro o parola. Una nuova tuta, una nuova maglietta e un nuovo stemma: adesso sono la Repubblica Ceca.
L'ultimo a salire la scaletta dell'aereo è Dusan Uhrin, ironia della sorte, uno slovacco. Dusan ha occhi cerulei e due pomelli rossi sulle guance ed è il nuovo Commissario Tecnico scelto dalla Federcalcio locale per sostituire Vaclav Jezek. Ha un curriculum trascurabile da calciatore; meglio in panchina, dove si è distinto per una coppa nazionale vinta a Cipro con l'Apollon e successivamente una coppa nazionale (1991-92) e un campionato (1992-93) con lo Sparta Praga.
Come un bravo alchimista, mescola alla perfezione veterani e giovani: Stejskal, Kadlec e Nemecek sono i reduci da Italia '90, Kuka e Siegl due bomber nel pieno della maturità e poi un manipolo di buoni giocatori che agiscono in patria.
L'emozione dei cechi è identica a quella di Fatih Terim, rampante allenatore della Turchia. Personaggio dai lineamenti marcati e sguardo truce, è uno di quelli che affronta la vita a petto in fuori, senza paura del prossimo: lo conosceremo anche in Italia, quando siederà sulle panchine di Fiorentina e Milan all'inizio degli anni 2000.
Terim era già stato in precedenza, per una volta sola e in veste di semplice “traghettatore” – in quanto all’epoca responsabile della Nazionale Under 21 turca – alla guida della Nazionale maggiore, in occasione di un'amichevole in Danimarca, persa 1-0 nell'aprile del 1990, per poi lasciare il posto proprio a Sepp Piontek, giunto alla sua ultima presenza come selezionatore della nazionale scandinava.
Fatih finalmente può portare avanti il suo ciclo come commissario tecnico e nelle due precedenti sfide d'esordio, valevoli per le qualificazioni ai Mondiali 1994, ha cominciato con convincenti vittorie casalinghe su Polonia e Norvegia (entrambe per 2-1). Ma ciò non è bastato per portare il buonumore ai suoi compatrioti: sulle rive del Bosforo infatti, non se la passano bene.
La Turchia ha perso il suo Presidente – Turgut Özal – l’anno precedente e il debito pubblico è schizzato ai massimi storici. Per le strade è tutto un brulicare di auto che vagano senza meta e sui marciapiedi file di persone con le taniche in mano, cercano acqua alle fontanelle. Pochi, pochissimi entrano all'Inonu, uno stadio solitamente bollente, oggi freddo e semivuoto.
Nei quattro precedenti casalinghi, i turchi han battuto la Cecoslovacchia soltanto una volta nel 1958, poi sono arrivate due sconfitte pesanti ed un pareggio a reti inviolate allo stadio “19 maggio” di Ankara. Delle 10 sfide complessive i turchi ne hanno vinto una sola, pareggiate due e perse sette. In due di queste gare era in campo Terim, terzino della nazionale turca: amichevole del 7 settembre 1977 a Praga (1-0 per i padroni di casa) e il 15 aprile 1981 ad Istanbul, per le qualificazioni ai Mondiali 1982 i turchi del capitano Terim vengono battuti per 3-0 nell’ultima sfida in ordine di tempo fra le due Nazionali.
Ora, per cercare una prima rivincita contro i Cechi, Fatih convoca 16 giocatori, di cui sei del Galatasaray, tre di Besiktas, Fenerbahçe e Trabzonspor e uno del Samsunspor.
Alle ore 19 locali, i capitani si stringono le mani a centrocampo e poi fanno lo stesso con la terna arbitrale tedesca: Hans-Peter Dellwing coadiuvato dai giudici di linea Peter Augar e Ludwig Lommer. E dopo qualche istante la Nazionale della Repubblica Ceca entra ufficialmente nella storia.
Gli uomini di Terim partono bene: sei giri d'orologio e Hakan Sukur è steso in area dal gigantesco portiere Stejskal. Ertugrul Saglam, longilineo attaccante del Samsunspor, è glaciale dal dischetto. Gli ospiti reagiscono, approfittando dell'inadeguato Tugay nel ruolo di libero e in dieci minuti la ribaltano, riuscendo poi ad aumentare il vantaggio nel resto della gara guidati da Jiri Nemec.
Segnano subito Jiri Novotny e Radoslav Latal, entrambi da palla inattiva, ma ad impressionare è un'ala dai capelli lunghissimi e chiari. Tocca, danza, scatta. Karel Poborsky è una furia, è il nuovo che avanza. Una rockstar capace di puntare sempre l'uomo e di saltarlo sistematicamente.
Sarà lui l'uomo della svolta, il calciatore che assieme a Pavel Nedved, Martin Bejbl e Patrick Berger trascinerà due anni più tardi la Repubblica Ceca in finale agli Europei inglesi. Perderà, come già successo nel 1934 e nel 1962, ma dimostrerà al mondo che i Maestri, anche se divisi, son tornati.
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