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Uno di quei numeri 1 da intervento acrobatico e all'avanguardia rispetto al suo tempo. Oggi vive nella leggenda
In famiglia erano undici fratelli, proprio come una squadra. Non era inconsueto avere tanti figli, nell'Italia di metà anni Venti; i signori Bagicalupo riuscirono ad alzare un poco la media, in quel di Vado, in quel tratto di costa savonese dove a un promontorio timido corrisponde la dolcezza di un piccolo golfo.
Valerio Bacigalupo nasce il 12 marzo del 1924, in quella casa in cui i rimbalzi del pallone scandivano i giorni di un'infanzia umile e, per i sette undicesimi maschi della figliolanza, votata al calcio; a vari livelli e gradi di bravura, ma con tanto terriccio da spazzolare via dalle scarpe chiodate di varie misure.
Valerio aveva anche i guanti, perché era nato portiere. Uno di quelli che riempivano la porta con i loro interventi acrobatici; che non aveva paura di uscire in presa alta o bassa, che in varie foto in bianco e nero si può ammirare sospeso in aria con uno di quei palloni tra i guanti, quelli con le cuciture ruvide in rilievo, di un'epoca in cui i calciatori più celebri li si poteva incontrare sul tram.
Celebre Valerio Bacigalupo lo sarebbe diventato per bravura; lo sarebbe sempre rimasto nel dolore, sino a oggi, nel giorno in cui avrebbe potuto compiere cent'anni; perché poco tempo dopo aver cominciato a fare sul serio, tra i pali, il bel ragazzo, prima ragazzino, dall'espressione allegra e la chioma sempre impomatata, tutti capirono che era un predestinato. Dalla Cairese al Savona, quindi al Genova 1893, non ancora Genoa. In un'Italia ancora ridotta in schegge, tra persistenze naziste e territori già liberati, nel campionato denominato "Alta Italia", visto che la Serie A non poteva ancora tornare in campo, quando la rappresentativa piemontese si trovò ad affrontare quella ligure, tra i pali di quest'ultima c'era Valerio Bacigalupo. In tribuna, sedeva Ferruccio Novo, il visionario presidente del Grande Torino. Dobbiamo aggiungere altro? Sì, tra voli plastici e uscite sui piedi degli attaccanti lanciati a rete, sempre esibite con naturalezza. Dobbiamo vestire di granata questa storia, con il cognome di Valerio che diventa l'inizio di una poesia: - Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola -, in sillabe sciolte ma annodate dalla leggenda.
137 presenze, soltanto 120 gol al passivo; quattro scudetti. Fino a quando il cielo sopra Superga andò in frantumi, sbriciolato in mezzo alle nuvole che coprivano la collina di Supega, nella mattinata del 4 maggio 1949.
Scriveva Indro Montanelli tre giorni dopo sul "Corriere della Sera": "Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto 'in trasferta'". E Valerio Bagicalupo è sempre con loro, con la maglia numero uno, pronto a rinviare il pallone dal limite dell'area, con quel modo di giocare così moderno che anticipava la partecipazione alla manovra dal basso che sarebbe diventata obbligatoria per i portieri più di cinquant'anni dopo. È ancora lì, in volo solitario, col pallone tra i guanti e il cielo sereno sullo sfondo, nelle foto in cui gli spettatori sembrano ipnotizzati dal gagliardetto col toro sulla stoffa granata e se passasse un aereo, nessuno alzerebbe gli occhi per guardarlo.
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