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Formidabile centrocampista della Fiorentina e della nazionale a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, fu limitato da infortuni e incidenti che arrivarono nei momenti meno opportuni
Ogni squadra ha avuto il suo grande 10 e Giancarlo Antognoni è stato indiscutibilmente quello della Fiorentina. Centrocampista dai piedi buoni e dalla grande visione di gioco, perseguitato dalla sfortuna in alcuni momenti-chiave e che forse ha raccolto meno di ciò che avrebbe meritato.
Certo, campione del mondo con l'Italia nel 1982 pur non giocando la finale per l'ennesimo infortunio intempestivo. Comunque un grande, un grandissimo, nato l'1 aprile ma non di certo un Pesce d'Aprile.
Antognoni ha giocato 15 anni nella Fiorentina ma ha "rischiato" di diventare un giocatore del Torino. Pur essendo umbro, l'adolescenza la passa in Piemonte e la maglia granata la sfiora appena, lui che tifa Milan da ragazzo e ancor di più Gianni Rivera. Il destino sembra essere la provincia, a 16 anni Giancarlo è in Serie D ad Asti, ma chiunque lo veda capisce che è un predestinato e che quella è solo una fase di passaggio.
Il più svelto di tutti è il presidente della Fiorentina, Ugolino Ugolini, che caldeggiato da Egisto Pandolfini, mito e osservatore viola, spende ben 435 milioni di lire per quel ragazzo taciturno ma dall'enorme talento. L'allenatore poi è uno cresciuto coltivando i giovani fin da quando era al Milan: Nils Liedholm.
Il 15 ottobre del 1972 Antognoni con la maglia numero 8 debutta in Serie A ed è subito vittoria per la Fiorentina contro il Verona: i toscani hanno vinto lo scudetto tre anni prima, ma la concorrenza in Serie A è spietata e bisogna rimanere sulla cresta dell'onda.
Insomma, è già tempo di ricostruire e il pilastro della nuova rinascita è Giancarlo, che presto abbandona l'8 per un più iconico 10: leader in campo e capitano di una squadra che non vincerà più scudetti, ma solo una Coppa Italia nel 1975.
Rimangono i momenti di rabbia per la Fiorentina, specialmente il campionato sfumato all'ultima giornata nel 1982. Antognoni in campo ed è già un miracolo visto che nel novembre 1981 uno scontro violentissimo con il portiere del Genoa, Silvano Martina, per poco non l'aveva mandato all'altro mondo. Testa contro ginocchio, il cuore di Giancarlo che si ferma e il panico: si riprenderà, per fortuna, ma lo spavento rimarrà.
E nel 1984 il sampdoriano Luca Pellegrini a frantumargli, rottura di tibia e perone, la gamba sinistra: quasi due anni fermo perché all'epoca infortuni così non si curavano velocemente. Nonostante tutti questi contrattempi l'anima della squadra è sempre e solo Giancarlo, passano gli allenatori e i presidenti, la maglia rimane e Antognoni con essa.
Si ritira nel 1987 con un'ultima comparsata in Svizzera, al Losanna, prima di tornare in seguito alla Fiorentina come dirigente.
La sfortuna ha perseguitato Antognoni anche in nazionale, nonostante l'unico vero grande successo della sua carriera (con tutto il rispetto per la Coppa Italia) sia arrivato in maglia azzurra: è lui, infatti, il faro dell'Italia di Enzo Bearzot nel 1982, culmine di un gruppo nato e cresciuto almeno 6-7 anni prima e che aveva avuto al mondiale argentino del 1978 un primo barlume di qualità.
Antognoni è l'emblema di quei "piedi buoni" di cui Fulvio Bernardini, con Bearzot come vice, va alla ricerca subito dopo il disastroso mondiale del 1974. Piedi buoni e volti nuovi dopo che i vecchi, i "messicani", avevano raschiato il fondo del barile. Antognoni entra in questo nuovo gruppo azzurro fin da subito, ha 20 anni e un luminoso futuro davanti. Non ci sono del resto tanti calciatori come lui.
Titolare nel 1978, ancora di più se possibile nel 1982, nonostante l'incidente contro il Genoa di pochi mesi prima. In Spagna l'Italia come sappiamo fatica tremendamente all'inizio, ma si trasforma dalla seconda fase in poi, stendendo l'Argentina e il Brasile: nel 3-2 ai Verdeoro ci sarebbe anche il quarto gol di Giancarlo, fermato da un fuorigioco inesistente.
Pazienza, Antognoni gioca anche contro la Polonia ma calciando da fuori trova il piede di un giocatore avversario, Matysik: frattura, lacrime e niente finale. Teoricamente sarebbe toccato a lui il rigore contro la Germania Ovest, che Cabrini calcerà a lato. Pure supposizioni, però anche qua un velo di tristezza a coprire parzialmente il trionfo, campione del mondo senza giocare la finale. «Quella volta mi girarono parecchio le scatole. Vidi Italia-Germania dalla tribuna stampa», ricorderà, lui che voleva essere in campo.
L'azzurro e il viola, un abbinamento che marcherà per sempre Antognoni. «Puoi anche vincere due Scudetti e due Coppe dei Campioni ma poi che cosa ti rimane? Il tuo nome sugli almanacchi... Meglio essere ricordato come uno che non ha mai tradito Firenze e la Fiorentina».
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