Mimmo Caso non si è fermato a Eboli

Mimmo Caso non si è fermato a Eboli

Firenze è stata la culla calcistica del centrocampista nato ala, l'Inter è dove ha vinto e poi è  diventato allenatore

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Tutto cominciò a Eboli, laddove qualcun altro si era fermato. È il 9 maggio del 1954 e nel comune campano reso noto dal romanzo di Carlo Levi viene alla luce Domenico Caso, Mimmo per il secondo battesimo officiato da una Serie A che lui avrebbe percorso, corso e rincorso, in lungo e in largo, lungo anni di carriera caratterizzati da maglie prestigiose e da una evoluzione tecnica e tattica che testimonia una duttilità che è innanzitutto segno di capacità di adattamento, a sua volta prova di intelligenza, non solo in senso calcistico.

 

La storia calcistica di Mimmo Caso

 

Fiorentina, Napoli, Inter, Perugia, Torino, Lazio, dal 1971 al 1988, con Firenze che è stata culla calcistica e poi maglia della piena affermazione, fino al 1978, con una Coppa Italia messa in bacheca nel '75.

Con l'Inter guidata da Eugenio Bersellini lo scudetto del 1980, vinto da titolare e da protagonista, visto che in maglia nerazzurra Caso ha giocato due stagioni, dal 1979 al 1981, con 57 presenze a due reti. A Milano non prova soltanto la gioia del Tricolore, perché vive anche l'approdo alla definitiva maturazione calcistica e all’evoluzione del suo utilizzo. Proprio quel saggio gestore di spogliatoi e plasmatore di calciatori che è sempre stato Bersellini, intuisce quale possa essere il miglior utilizzo di Mimmo Caso, quindi lo accentra e lo abbassa: nato ala destra tornante, già di per sé tendente all'accentramento del proprio raggio d'azione, il tecnico interista capisce che per il passo e per la visione con la quale presiede allo sviluppo della manovra, Caso è un centromediano nato; nevralgico per la gestione dei tempi di gioco e votato all'interdizione. Se all'epoca esistesse già il fantacalcio, lui sarebbe uno di quelli sempre convenienti in sede di contrattazione, tanto per il rendimento che per la conseguente media - voto.

Latina e Orceana, dopo il triennio da laziale (1985 - 1988) sono le ultime maglie vestite in carriera; nell'estate del 1990 il centrocampista di Eboli dice basta con il calcio giocato, non certo con il calcio. Lui, che soprattutto nella seconda parte della propria carriera era già definibile come una sorta di allenatore in campo, vive il più naturale dei passaggi e anche in questo caso (con la minuscola) comincia dalla Fiorentina, perché viene chiamato ad allenare i Giovanissimi Nazionali della Viola.

 

Caso in panchina e in azzurro

 

Ha navigato, anche da tecnico, attraverso le acque del calcio giovanile, compresa la Nazionale Under 18, vincendo con la Fiorentina il Viareggio del '92 e con la Lazio il campionato Primavera del 1995. Tornando al suo vissuto da calciatore, a vent'anni appena compiuti ebbe una fortuna che si sarebbe poi rivelata una sfortuna: essere notato dal Commissario tecnico della Nazionale maggiore Fulvio Bernardini, che nel settembre del '74 lo schierò contro la Jugoslavia. Bernardini aveva l'esigenza di forgiare un gruppo nuovo dopo la disastrosa Coppa del Mondo in Germania Ovest, Caso era ancora troppo acerbo: morale, quella fu l'unica maglia azzurra per un giocatore che di lì a poco avrebbe dimostrato il suo valore in ogni piazza in cui sarebbe andato a giocare.

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