Lazio-Foggia, 12 maggio 1974: i biancocelesti sono campioni d'Italia

Lazio-Foggia, 12 maggio 1974: i biancocelesti sono campioni d'Italia

Cinquant'anni fa la squadra di Maestrelli scriveva una delle pagine più incredibili della storia del nostro calcio

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Ci sono attesa, amore, incredulità nell’Olimpico che, in quella domenica di maggio di 50 anni fa, attende l’ingresso in campo di Lazio e Foggia.

Sotto un cielo limpido e biancoceleste come non mai, ognuno è giunto allo stadio con una bandiera, una sciarpa, un qualsiasi indumento che colori lo stadio solo di bianco e d’azzurro. I dati ufficiali a fine gara parleranno di 78.886 presenze, record mai più avvicinato nella storia della Lazio.

Quel giorno si consuma finalmente il lungo corteggiamento allo scudetto, che arriva dopo una cavalcata di testa durata un’intera stagione, a dispetto di ogni pronostico. 

Un successo costruito in poco tempo

La Lazio di quegli anni non è certo una squadra da vertice, né ha il blasone per poter reclamare un posto al tavolo delle grandi: viene infatti da un decennio vissuto a cavallo tra serie A e serie B, potendo vantare al massimo i fasti degli anni dei pionieri, le gesta di Piola e tanti buoni piazzamenti negli anni cinquanta. Ma le è sempre mancato l’acuto di grido, quale non può essere la pur meritata ed epica Coppa Italia conquistata nell’estate del 1958.

La società è guidata dalle oculate e appassionate mani dell’imprenditore edile Umberto Lenzini. Il compianto Antonio Sbardella è a capo dell’area sportiva, mentre in panchina siede dal 1971 un pisano discreto, ma di idee chiare e umanità inarrivabile: Tommaso Maestrelli, che è il vero artefice di quella Lazio, che centra subito la risalita in serie A e pianifica un’impronosticabile scalata al vertice del calcio italiano.

Già il primo anno, i biancocelesti sfiorano il titolo da neopromossi grazie a una stagione di vertice, durante la quale esibiscono un calcio che, eccezion fatta per il libero, ricorda molto i principi che hanno fatto grande l’Ajax e stanno per consacrare anche la nazionale olandese. All’ultima curva, è fatale la caduta nell’ostile cornice di Napoli, mentre la Juventus espugna non senza polemiche l’Olimpico giallorosso, approfittando così dell’incredibile disfatta milanista in quel di Verona.

All’inizio della stagione seguente, nonostante il terzo posto, sono in molti a pensare che la Lazio rientrerà nel gruppone di metà classifica e di conseguenza nell’anonimato in cui vive da troppi anni.

La rosa è rimasta praticamente intatta e non include fuoriclasse, eccezion fatta per quel centravanti un po’ sgraziato, ma tremendamente efficace che risponde al nome di Giorgio Chinaglia. Intorno a lui, la società e il tecnico hanno sapientemente disegnato un undici che si rivelerà un’orchestra sontuosa. In porta Felice Pulici, in difesa la sapiente regia di Wilson e la grinta in marcatura di Oddi; terzini sono Petrelli e Martini, mentre a centrocampo è il ‘tagliato’ dell’Inter Mario Frustalupi a fare da metronomo. Lo affiancano Nanni e Re Cecconi, che garantiscono dinamismo e copertura con avveduto equilibrio. In attacco, a rifornire Chinaglia, ci pensano la guizzante ala Garlaschelli e il giovane talento Vincenzo D’Amico, vera rivelazione dell’annata 73-74.

Il cammino della Lazio

Una formazione ben assortita, ma che nasconde una frattura profonda in due gruppi tra i giocatori: riottosi e attaccabrighe in settimana, questi due clan - saggiamente rabboniti da Maestrelli - riescono a trasformarsi in una sola anima la domenica. …E i risultati si vedono.

La squadra, rigenerata nel consueto ritiro di Pievepelago dopo la beffa finale dello scorso anno, inizia quel campionato alla stessa maniera in cui aveva lasciato il precedente. Superato qualche pareggio di troppo e il ko in casa della Juventus campione in carica, arrivato alla terza giornata, inanella una striscia di sei vittorie consecutive e si issa da sola in testa alla classifica, inseguita proprio dai bianconeri e dal Napoli.

La prima (e unica, in quell’anno) sconfitta casalinga imposta dal Torino il 13 gennaio 1974 non scalfisce le certezze del gruppo, che infatti riparte di slancio fino a presentarsi allo scontro diretto a Roma con la Juventus del 17 febbraio con un margine di due punti a favore.

L’inattesa caduta della domenica precedente a Genova in casa Samp viene subito cancellata dalla miglior prestazione dell’anno, per un 3-1 che appare a molti come un ideale passaggio di consegne.

Di lì, il testa a testa proseguirà senza particolari scossoni, con la Lazio abile a capitalizzare al massimo le gare casalinghe (da ricordare la romanzesca rimonta sul Verona) e minimizzare i punti persi in trasferta. Ormai in Italia è la squadra che tutti sul proprio terreno vogliono battere, tanto che nel girone di ritorno non riuscirà mai a fare bottino pieno lontano dall’Olimpico (ma vincerà, in ‘trasferta’, il fondamentale derby di ritorno).

Strappa pareggi sofferti e tirati a Firenze, a Napoli e a Milano in casa rossonera, mentre cade ancora contro l’Inter di Boninsegna, grande rivale di Chinaglia nella corsa al trono dei marcatori e che alla fine Long John supererà per un solo gol di vantaggio.

A tre giornate dalla fine fa visita al Torino, già maramaldo all’Olimpico nel girone d’andata. Ancora una volta, sotto i colpi di Paolino Pulici, la banda di Maestrelli cade anche in terra sabauda, per un capitombolo che riporta in tutto l’ambiente l’angoscia dell’anno precedente, di veder nuovamente sfumare sul più bello ogni sacrificio. Radioline alla mano, non resta che sperare che la Juventus non faccia bottino pieno all’Olimpico contro la Roma. E contro ogni pronostico, i giallorossi – peraltro già strapazzati per 2-1 in entrambi i derby, in due partite epiche che la Lazio recupera e vince da situazione di svantaggio – impongono analogo stop anche alla Juve, battuta per 3-2.

A questo punto, ancora avanti di tre punti sui bianconeri, basta battere il Foggia il 12 maggio per essere certi di avverare il sogno.

Il Foggia in zona retrocessione

Matricola del torneo, alla loro quinta esperienza in Serie A, i rossoneri di Lauro Toneatto, al termine della dodicesima giornata di campionato (su soli trenta turni totali), erano la squadra rivelazione, occupando il terzo posto con 15 punti, al pari di Fiorentina e Napoli, battuto proprio in quella stessa domenica e a sole quattro lunghezze dalla Lazio capolista. Dalla gara successiva, però, per la formazione pugliese cominciò un netto ed inesorabile declino e la squadra riuscirà a raccogliere, fino al 12 maggio, soltanto 8 punti, arrivando al penultimo appuntamento della stagione con una sola lunghezza di vantaggio sul Verona, terzultimo a 22 e in quel momento primo a retrocedere, davanti alle due formazioni genovesi, fanalini di coda a soli 17 punti. Col Foggia impegnato sul campo della capolista, gli scaligeri hanno una gara assai più semplice, ospitando in casa l’ormai retrocesso Genoa. Se non riuscisse a prendere punti all’Olimpico, per il Foggia esisterebbe il serio rischio di subire un sorpasso definitivo, anche in virtù dell’ultimo impegno di campionato, che vedrà i satanelli impegnati contro il…diavolo. Purtroppo per loro, così sarà…

 Il trionfo

Quel giorno va in campo una Lazio contratta, timorosa, lontanissima parente di quella che ha incantato l’Italia durante il campionato. Pur se nella sua formazione tipo, l’importanza della posta in palio sembra paralizzare tutta la squadra e, come appena visto, il Foggia ha bisogno disperato di punti per salvarsi, con grande cruccio dell’ex Maestrelli.

Il primo tempo comincia con gli ospiti inaspettatamente all’attacco e nei primi 10 minuti della contesa vanno vicini alla rete almeno in un paio di occasioni, sventate a stento dalla difesa laziale. Poi, in qualche modo, accettano la supremazia dei più forti, che però non riesce mai ad essere perentoria e soffocante come dovrebbe. La partita è nervosa e ruvida: il difensore ospite Scorsa si procura una ferita alla testa e giocherà per il resto della gara col capo fasciato. La Lazio coglie un palo con D’Amico a metà tempo e da quel momento il ragazzo si spegne, contratto dalla delusione. Dopo i primi 45’ il risultato è quello iniziale di 0-0. La ripresa si apre con l’infortunio di Martini, che si frattura una clavicola e lascia il campo a Polentes: la Lazio perde uno dei suoi uomini più in forma al momento, l’unico in grado rifornire l’attacco con le sue inarrestabili discese e la partita si ingarbuglia ancora di più. Ma al 59’ ecco il momento decisivo: il fasciato Scorsa impatta con la mano un cross di Garlaschelli e per l’arbitro Panzino è rigore, per i laziali tutti pure, per i foggiani no: il loro compagno è stato spinto. Passano almeno 4 minuti prima che le vivaci proteste vengano placate e la sfera, già appoggiata sul dischetto, viene volontariamente spostata diverse volte dai piedi indispettiti dei rossoneri, aumentando l’ansia per chi dovrà eseguire il tiro dagli 11 metri. È ovviamente Chinaglia a incaricarsi della battuta, ma quanto pesa quel pallone! Il tiro è incerto, ma basta a spiazzare Trentini. La mezz’ora che rimane sarà la più lunga per tutti i laziali, costretti pure in dieci dal rosso a Garlaschelli per un fallo di reazione. A nulla valgono però gli sforzi dei pugliesi: quando Panzino fischia la fine, mentre i tifosi impazziti si riversano in campo per la seconda volta (la prima fu qualche minuto prima, avendo scambiato un fischio ordinario dell’arbitro col triplice di fine gara), l’immagine simbolo resta quella di Maestrelli, sorpreso dalle telecamere in una smorfia di esausta soddisfazione. Curiosa anche la storia di Felice Pulici: il portiere fu il primo ad abbandonare lo stadio per raggiungere a Milano la moglie, che aveva appena dato alla luce, proprio in quello straordinario giorno, il piccolo Gabriele.

Quello fu il momento dell’apice per quel gruppo inarrivabile: presto sarebbe giunta la prematura scomparsa di Maestrelli, di lì a poco seguita dalla tragica fine di Re Cecconi. Negli anni successivi, sarebbe presto toccato a tanti, troppi altri membri di quella favola, ultimi e indimenticati il capitano Wilson e la bandiera D’Amico, scomparsi rispettivamente nel 2022 e nel 2023.

In un calcio tanto lontano da quello odierno e con rose infinitamente più corte, va ricordato che quella Lazio fece bella figura anche in Coppa Italia. Vinto infatti il proprio girone di qualificazione, la squadra approdò alla fase finale, che prevedeva due gruppi, con partite da disputarsi tra dicembre e maggio, le cui vincitrici si sarebbero affrontate nella finale in gara secca all’Olimpico. Sorteggiata con Cesena, Juventus e Palermo, la Lazio riuscì a vincere solo la gara casalinga coi siciliani, poi inaspettatamente capaci di vincere il girone, per poi arrendersi immeritatamente in finale davanti al Bologna di Bulgarelli e Savoldi.

Ben più noto, invece, è il percorso europeo dei biancocelesti in quella stagione, che parteciparono alla Coppa UEFA per la prima volta nella loro storia in virtù di quel magnifico, ancorché amaro, terzo posto conquistato l’anno prima: dopo aver eliminato il Sion nel primo turno, però, la Lazio incappò nel celeberrimo doppio confronto con l’Ipswich.

Lo 0-4 subito in terra inglese sembrava irrecuperabile, eppure quella banda di matti sfiorò l’impresa all’Olimpico, portandosi presto sul 2-0 e potendo recriminare a ragione sulle topiche dell’arbitro olandese van der Kroft, che condizionarono la qualificazione. Il 4-2 finale non solo non bastò, ma venne reso ancor più triste dalla rissa e dai tafferugli che ne seguirono, tra giocatori, staff, tifosi e forze dell’ordine. Un caos di tumulti che indusse la UEFA a squalificare la Lazio dalle coppe per tre anni: i tentativi di sovvertire quella squalifica portarono al più alla riduzione in appello a uno degli anni di squalifica, tempo però sufficiente a privare la Lazio del pass per la Coppa dei Campioni guadagnato grazie allo scudetto, unica squadra italiana di sempre capace di vincere il titolo, ma impossibilitata a prendere parte alla manifestazione più prestigiosa.

L’ennesima beffarda stranezza di una tra le squadre più meravigliose e maledette della storia del calcio italiano.

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