Damiano Tommasi, moderno e d'altri tempi

Damiano Tommasi, moderno e d'altri tempi

Il centrocampista veronese è stato grande con la Roma, cuore dello scudetto del 2001, vivendo una carriera mai sopra le righe

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Damiano Tommasi non era solo gamba e corsa, ma un fine dicitore del centrocampo. Certo, nella Roma il suo compito era sempre quello di coprire una fase offensiva "pesante" che aveva un'artiglieria mica da ridere (Totti, Batistuta, Delvecchio, Montella), ma non era il classico mediano di rottura.

Grande qualità nei piedi, grandi qualità umane come la decisione di accettare un contratto al minimo sindacale dopo un grave infortunio che ne aveva compromesso la carriera (1.500 al mese, per la cronaca).

Ora che è sindaco di Verona è come se quell'incarico l'avesse sempre ricoperto.

Tommasi giocatore moderno

 

Fosse nato una generazione dopo oggi di Tommasi parleremmo come di un "tuttocampista", schierabile in ogni posizione della mediana o chissà, anche dietro in un'eventuale difesa a tre.

Impossibile non notarlo in campo, peraltro, coi capelli ricci e lunghi (non sempre così lunghi), a volte una barba da asceta: parlava poco, lasciava che si esprimesse il pallone, con una buona visione di gioco e la capacità di leggere le situazioni degna di un grande.

Al Verona in Serie B l'esplosione definitiva, e quando ancora i grandi club andavano a pescare i giovani italiani per trasformarli in titolari ecco la chiamata della Roma, nel 1996.

Un salto di categoria vissuto senza fare una piega, con allenatori diversissimi tra loro a fare di Tommasi il fulcro insostituibile del centrocampo: da Zeman a Capello fino a Spalletti, non si poteva prescindere da Damiano. Accanto a lui si alternavano in tanti, ma il veronese anche dentro lo spogliatoio era una presenza unica.

Del resto il suo soprannome mitico, "Anima candida", non è che fosse arrivato per caso. Un decennio irripetibile, da leader vero.

 

Quel gol annullato in Corea...

 

Tommasi in nazionale ha vissuto in prima persona il ricambio generazionale tra il gruppo del 1998 e quello del 2006, la vecchia guardia fortissima ma incapace anche per sfortune assortite (rigori al mondiale in Francia) di centrare il massimo obiettivo e la successiva del trionfo di Berlino in coppa del mondo.

Con Giovanni Trapattoni come commissario tecnico il veronese diventerà un punto fermo, con la sua maglia numero 17, indossata sempre a tutte le latitudini. Forse il Trap, ex centrocampista passato alla storia da giocatore come semplice interditore, si rivede in Tommasi, per il quale ritaglia un posto da titolare pressoché insostituibile nel suo 4-4-2, questo sì forse un po' ingessato.

Al mondiale in Corea del Sud e Giappone non salta un minuto fino a quando ai tempi supplementari degli ottavi di finale contro i coreani segna un gol che visto al replay sarebbe validissimo ma che viene annullato per fuorigioco inesistente. Inserimento sul filo del fuorigioco, portiere dribblato e rete a porta vuota: tutto inutile, prima della beffa di Ahn.

Via Trapattoni, fine dell'esperienza di Tommasi in azzurro, con una nuova generazione a sopravanzarlo nelle gerarchie. E lui, come sempre, accettando tutto senza problemi. Da dirigente poi diventerà presidente dell'Associazione Italiana Calciatori, un punto di riferimento non solo per i compagni di squadra ma per tutti i colleghi o ex colleghi. 

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