1994, apoteosi Milan

1994, apoteosi Milan

Finale di Champions League, i rossoneri di Fabio Capello abbattono il Barcellona fino a quel momento forse la squadra più in forma d'Europa

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“Vecchio Milan è amaro addio”. Questo il titolo della rosea la mattina del 27 maggio 1993. La sera prima i rossoneri erano stati sconfitti dai francesi dell’Olympique Marsiglia nella finale di Champions League. La squadra rossonera crolla sul traguardo dopo una sequenza impressionante che l’aveva vista vincere il campionato 1991-1992 senza sconfitte (22 vittorie e 12 pareggi) ed una Champions League edizione 1992-1993, condita fino a quel momento con 10 vittorie su 10 partite ed un solo gol subito, quello di Romario ad Eindhoven a dicembre. Si ha la sensazione della caduta dell’impero, sensazione rafforzata dal fatto che nelle settimane successive, prima Rijkaard e poi Gullit lasciano la casa rossonera per approdare altrove. In quelle settimane neanche il più fiducioso tifoso rossonero avrebbe potuto ipotizzare quanto sarebbe accaduto dodici mesi dopo. Quando inizia la stagione 1993-1994 il Milan appare defilato, sia nel mercato che nei pronostici. Acquista il giovane terzino Panucci dal Genoa, incassa un paio di prestiti nelle figure di Brian Laudrup dalla Fiorentina appena retrocessa e Raducioiu dal Brescia, ma perde definitivamente anche Marco van Basten, la cui caviglia peggiora di settimana in settimana e soprattutto Lentini che ai primi di agosto è vittima di un grave incidente che lo terrà lontano dai campi da gioco per quasi tutta la stagione.

 

Una formula particolare

La seconda edizione della Champions League presenta una novità rispetto alla edizione precedente. Al termine de due gironi finali le vincitrici di ciascun girone incontreranno in semifinale secca in casa le seconde classificate dell’altro girone. La concorrenza ai nastri di partenza è fortemente accreditata ed il Milan non parte tra le favorite. Troppi i cambiamenti, troppe le perdite di qualità da poter ipotizzare che la compagine rossonera possa competere nuovamente ai livelli devastanti visti solamente un anno prima. Tra le compagini di spicco troviamo il Manchester United che rivede la massima competizione europea dopo 24 anni, ovvero da quando il Milan nell’aprile del 1969 estromise gli allora Campioni d’Europa guidati da Best e Charlton, il Porto, Il Werder Brema, vincitore solamente 15 mesi prima della Coppa delle Coppe, un rinato Anderlecht, ma soprattutto il Bercellona. I catalani stanno imperversando in Spagna dopo il tramonto della generazione della “Quinta del Buitre”, ma vengono da una cocente delusione patita solamente l’anno prima negli ottavi di finale della massima competizione europea dove furono estromessi dal Cska Mosca perdendo 3-2 in casa nonostante il buon pareggio per 1-1 in quel di Mosca durante la gara di andata. Per stampa e opinione pubblica è il Barcellona la squadra da battere. Assente invece i campioni in carica dell’Olympique Marsiglia, squalificati per lo scandalo Valenciennnes dell’anno prima, il cui posto è preso dal Monaco.

La coppa inizia in sordina per il Milan che pesca i campioni svizzeri dell’Aarau. L’andata nella palude elvetica si risolve a favore dei rossoneri grazie ad una stoccata di Papin. Sembra tutto in discesa ma la gara di ritorno, presenta un Milan inguardabile, che davanti al suo pubblico esterrefatto, rischia di capitolare per ben tre volte di fronte agli elvetici, salvo condurre in porto con grande mestiere uno 0-0 ai più apparso imbarazzante. Il secondo turno si rivela più agevole con i rossoneri che goleadano il Copenaghen in terra danese (0-6) gestendo il ritorno con una vittoria di misura (1-0). I due turni eliminatori destinati a selezionare le 8 squadre dei due gironi finali mietono le prime vittime. Lo United si incarta in casa contro i turchi del Galatasaray in casa (3-3) salvo poi non riuscire a sbloccare lo 0-0 in terra turca ed uscendo per differenza reti. Fuori anche Feyenoord (eliminato dal Porto) e Steaua Bucarest, travolta dai francesi del Monaco. Qualche pensiero per i catalani solo al primo turno quando la Dinamo Kiev si impone per 3-1 nella gara di andata in casa salvo poi crollare al Camp Nou per 4-1. Spazzati via senza problemi invece gli austriaci dell’Austria Vienna nel turno successivo. Il sorteggio dei gironi favorisce fortemente il Barcellona che pesca Galatasaray, Spartak Mosca e Monaco. Diverso il percorso dei rossoneri che pescano tre mine vaganti come porto Anderlecht e Werder Brema. I catalani fanno il loro dovere dominando il girone dall’inizio alla fine con 2 pareggi e 4 vittorie di cui l’ultima ottenuta nel Principato di Monaco e che le da il diritto di giocare la semifinale secca in casa. Diverso il percorso del Milan che comincia le danze al Park Astrid di Bruxelles contro un Anderlecht insidioso. La forte nevicata e il pallone arancione arridono ai rossoneri che strappano un prezioso 0-0. Solo una settimana dopo, in un anticipo di coppa (il Milan è in partenza per Tokyo per giocare la Coppa Intercontinentale contro il San Paolo), i rossoneri offrono finalmente una prestazione convincente sotto il profilo offensivo liquidando in casa il Porto per 3-0. Alla fine della seconda giornata il girone del Milan è un trenino di squadre con il Milan a tre punti, Porto e Werder Brema a due e Anderlecht a un punto. Belgi suicidatisi in terra di Germania allorché in vantaggio per 3-0 a metà della ripresa riescono a farsi rimontare dai verdi di Brema fino ad un roboante 5-3. Ai primi di marzo si giocano il terzo e quarto turno, che vede i rossoneri impegnati contro i campioni di Germania. Il Milan sta dominando il campionato, grazie ad una difesa pressoché imperforabile a cui fa da contro altare un attacco sparagnino ma letale quando serve. La squadra rossonera a novembre si è assicurata servigi di Marcel Desailly, chiamato in fretta e furia a sostituire Boban, infortunatosi nel Derby vinto contro l’Inter. Capello capisce che, non disponendo più di risorse illimitate sul fronte offensivo, è necessario proteggere la squadra e posiziona il gigante d’ebano davanti alla difesa. Le due sfide con il Werder saranno anche le più sofferte. A Milano il Milan prevale 2-1 non senza patemi dopo che i tedeschi avevano impattato il vantaggio di Maldini con un colpo di Basler. Il ritorno vede i verdi di Germania letteralmente assediare la porta di Rossi che para l’imparabile salvo poi capitolare per un rigore del neozelandese Rufer, impattato poco dopo da un gol di Savicevic, finalmente entrato nei meccanismi rossoneri. I due gol tedeschi risulteranno anche gli unici subiti dai rossoneri in tutta la competizione. Quindici giorni dopo il Milan ospita l’Anderlecht fiducioso di chiudere la pratica del girone, ma un palo (su tiro di Albertini), impedisce ai rossoneri di sbloccare lo 0-0 di partenza. In contemporanea da Brema arrivano notizie allarmanti con il Porto che sta distruggendo il Werder (finirà 5-0 per lusitani). A questo punto la sorte del girone si deciderà nell’ultima sfida al Das Antas, casa dei Dragoes, con il Milan a 7 punti ed i portoghesi a 6. Il 13 aprile il Milan gioca una partita di mestiere strappando lo 0-0 che gli permette di giocare la semifinale in casa contro il Monaco. Quindici giorni dopo le semifinali finiranno con identico punteggio (3-0) traghettando milanesi e catalani ad Atene, ma il campo racconta storie differenti. Al Camp Nou il Barcellona, che da gennaio si avvale delle prestazioni anche di Romario, polverizza la difesa del Porto in una manifestazione di calcio quasi irridente. A San Siro il Milan passa subito con un gol di testa di Desailly su calcio d’angolo, francese che va ad arpionare il pallone a 2,95 metri dal suolo, lasciando di stucco anche il telecronista della Mediaset che trasmetteva la partita. Passato in vantaggio il Milan lascia l’iniziativa ai transalpini le cui iniziative richiedono le maniere forti prima di Baresi (giallo con diffida che gli farà saltare la finale) e poi con Costacurta (non diffidato) punito con un rosso diretto al minuto 40, estratto dall’arbitro tedesco Heynemann, ingannato da una teatrale ed innocua caduta dell’attaccante tedesco Klinsmann, giocatore non nuovo a questo genere di scorrettezze. Lo sconsolato difensore (che tre mesi dopo salterà la finale della Coppa del Mondo per un cartellino altrettanto generoso estratto dal francese Quiniou) lascia il campo disperato ed attonito prima ancora che il Direttore di gara estragga il rosso. Nella ripresa ci si attende un Milan pronto ad alzare le barricate, Milan che invece attacca e raddoppia subito con un siluro di Albertini all’incrocio dei pali e triplica verso la fine del match con Daniele Massaro. La finale è assicurata ma il prezzo da pagare è altissimo. I rossoneri dovranno giocare l’atto conclusivo della manifestazione senza i centrali titolari. Alla finale mancano 21 giorni, 21 giorni per Capello per inventarsi qualcosa per arginare l’apparente strapotere dei catalani. Catalani che però a differenza del Milan devono ancora giocare per la Liga (il Milan aveva già vinto il titolo nazionale il 22 aprile), Liga che si aggiudicheranno grazie ad un colpo della sorte quando Dijukic, attaccante del Deportivo La Coruna si farà parare il rigore dall’estremo difensore del Valencia, rigore che avrebbe condotto il titolo nella piccola città spagnola proprio all’ultima giornata di campionato, titolo che festeggeranno (a detta di Cruijff) oltremisura. Così mentre un Barcellona sereno si dedica alle ultime giornate di campionato, il Milan comincia per mano del suo tecnico una serie di esperimenti per cercare la formazione ideale. E mentre i primi esperimenti portano grande preoccupazione in casa rossonera (emblematica una sconfitta in amichevole 2-0 contro al Fiorentina dove Capello prova Desailly centrale e dove la squadra sbaglia tutto lo sbagliabile), dalla Spagna, arriva una dichiarazione di Cruijff che a domanda precisa sulla finale risponde perentorio che “la differenza tra Barcellona e Milan è che il Barcellona schiera Romario mentre il Milan Desailly”. Questa dichiarazione, che in realtà era riferita al tipo di gioco praticato dalle due squadre verrà distorta e amplificata dagli astuti giornalisti italiani, circostanza questa che farà passare per sempre il grande allenatore olandese come un mostro di presunzione e che porterà desiderio di rivalsa da parte dell’ambiente rossonero.

In realtà Cruijff teme fortemente i rossoneri, memore della pesante sconfitta che aveva patito ad Oviedo in una amichevole pre campionato quando i rossoneri con facilità si erano imposti per 3-0 sui catalani, ma l’euforia per il calcio spettacolare capace di generare la sua squadra e la Liga vinta al fulmicotone all’ultima giornata non gli permettono di mantenere la giusta lucidità in vista dell’atto finale. Lucidità che sparisce completamente quando prima di partire per Atene il papero d’oro si fa fotografare con la Coppa dei Campioni vinta a Wembley nel 1992, in una sorta di gesto propiziatorio. Questa foto genera nuovi leggendari articoli da parte della stampa italiana che cavalca l’onda precedente in maniera quasi atavica. Ma mentre l’ambiente catalano veleggia, per leggerezza sulle ali del’entusiasmo al Milan sono molto concentrati e quando la Uefa designa l’olandese Blankestein per arbitrare la finale i rossoneri si oppongono. Male hanno digerito l’arbitraggio tedesco nella semifinale ed a detta dei rossoneri la comunione della lingua tra l’arbitro tedesco Heynemann e Klinsmann aveva di fatto favorito ingiustamente l’espulsione di Costacurta. Non vogliono che la situazione si ripeta dal momento che il Barcellona ha nei suoi punti di forza il difensore olandese Koeman. La Uefa ritiene la richiesta del Milan ragionevole e cambia la designazione scegliendo l’esperto arbitro inglese Don.

Quando le squadre si presentano sul manto di gioco dello Stadio Olimpico di Atene l’enfantico lavoro della stampa italiana e spagnola ha creato ai più l’idea comune (ed errata) di una partita a senso unico a favore dei catalani, circostanza condivisa anche da tutte le agenzie di scommesse di tutta Europa, tutte tranne quelle della nazione madre di tutte le scommesse ovvero quelle inglesi che quotano il Milan favorito per la vittoria finale fin da prima della disputa delle semifinali. Da maestri di gioco e scommesse avranno visto lungo anche in questa circostanza. Capello decide quindi di schierare una difesa inedita con Tassotti e Panucci sulle fasce e con Maldini e Galli centrali. La partita si rivela fin da subito una sorta di mattanza per i colori catalani. Cruijff in un eccesso di fiducia esclude dalla formazione titolare Michael Laudrup (uno dei quattro stranieri del Barcellona – all’epoca se ne potevano schierare solamente tre), danese che a detta di Capello era l’unico in grado di impensierire l’impianto difensivo dei rossoneri, preferendogli l’olandese Koeman, bravo ad impostare ma lento e inefficace contro le sortite ficcanti del Milan.

Nei novanta minuti va in onda la replica esatta della finale di cinque anni prima a Barcellona contro lo Steaua Bucarest. Quattro reti, un palo, un gol annullato e dominio rossonero dal primo all’ultimo minuto. Apre Massaro dopo un blitz sulla fascia del Genio Savicevic, raddoppia ancora “provvidenza” Massaro, poco prima della fine della prima frazione di gioco, su passaggio di Donadoni in un’azione che vede il Milan tenere la palla per oltre due minuti e mezzo con ogni passaggio accompagnato dagli olè di una estasiata tifoseria rossonera. Savicevic chiude il match dopo pochi minuti dalla ripresa delle ostilità inventandosi un pallonetto tanto bello quanto difficile che sorprende lo spaesato estremo difensore catalano. Chiude Desailly autore del quarto punto, quel Desailly a suo tempo tanto bistrattato da Cruijff rispetto all’evanescente Romario, brasiliano annullato da un fenomenale Filippo Galli, che dopo tanta sfortuna raccoglie i frutti di abnegazione e fedeltà ai colori rossoneri giocando una partita formidabile.

La faccia Cruijff ad ogni gol è una maschera di pietra, ma ciò non gli impedirà, da grande uomo di sport di andare a fine partita negli spogliatoi rossoneri a stringere la mano a ciascun giocatore del Milan. Anni dopo il maestro olandese racconterà come una delle sue più grandi sfortune calcistiche fu incontrare il Milan sulla sua strada, a suo dire “Squadra che quando commetti un errore non si limita a fartelo pagare, ma semplicemente ti giustizia fino in fondo senza sconti. Avevo imparato questa lezione dal calciatore (Milan – Ajax 4 – 1 nel 1969), ma presuntuosamente non me ne sono ricordato da allenatore quando giocammo ad Atene con il Barcellona nel 1994 (Milan – Barcellona 4 – 0)”. E mentre nella Masia del Barcellona un giovanissimo Puyol a rischio della sua incolumità, festeggia entusiasta la vittoria rossonera per la bellezza del gioco espresso, la notte di Atene chiude per sempre una serie di capitoli. Si chiude l’era di Cruijff a Barcellona. L’olandese resterà ancora un anno ma senza energia e mordente accompagnerà la sua creatura più bella ad un lento declino che la vedrà soccombere al Real Madrid in patria ed al Paris Saint Germain in Champions League. Si chiude la parabola di Marco van Basten, presente a bordo campo per incitare compagni. Sarà infatti l’ultima volta che l’airone olandese seguirà il suo amato club in trasferta. E quella sera si chiude l’era di una squadra leggendaria, come narrerà in maniera esemplare il compianto Giorgio Tosatti qualche mese dopo, sulle pagine del Guerin Sportivo, che definirà la notte di Atene come “il canto del cigno della più grande squadra italiana di sempre”.

 

 

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