Michael Laudrup, freddezza e classe

Michael Laudrup, freddezza e classe

Il danese è stato il leader della sua generazione anche se incredibilmente non partecipò al campionato europeo vinto a sorpresa dalla sua nazionale nel 1992. In Italia giocò con Lazio e Juventus

 

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L'eleganza fatta calciatore, Michael Laudrup: un attaccante come forse non ne nascono più, completo, prolifico e altruista, forse un po' freddo. Probabilmente uno dei due-tre migliori danesi nella storia, capace di essere grande tra i grandi, compresa la nostra Serie A.

Lo abbiamo visto alla Lazio e alla Juventus e in seguito al Barcellona e al Real Madrid. Più in nazionale, ovviamente, lui e quelli della sua generazione dorata, incluso il suo fratello minore Brian.

Laudrup, attaccante o centrocampista?

Figlio d'arte, Michael Laudrup atterra in Italia quando è ancora giovanissimo. Non ha nemmeno vent'anni e viene acquistato dalla Juventus, che per tesserarlo batte la concorrenza del Liverpool e del Barcellona. Piccolo problema, all'epoca ogni club italiano può tenere in rosa solo due stranieri: o meglio, ne può schierare al massimo due e per gli altri c'è solo la tribuna o il prestito altrove.

La Juventus è a posto con Platini e Boniek quindi "parcheggia" per due stagioni alla Lazio. Il problema è che Michael è troppo grande rispetto a una squadra che lotta per non retrocedere, è in preda alle turbulenze societarie e non ha motivi per valorizzarlo, visto che non avrebbe soldi per prenderlo in via definitiva.

Sono due anni difficili per il danese, già nel giro della nazionale dove è visto come l'erede del formidabile Allan Simonsen, ma è costretto alla Lazio a guardarsi più le spalle che non a creare occasioni. Se nella sua prima annata laziale segna 8 gol, nella seconda il rendimento precipita: realizza una sola rete e i biancocelesti retrocedono in Serie B.

A quel punto la Juventus è ben felice di riprenderselo mollando Boniek e facendo di Michael la sua seconda punta titolare, o comunque l'uomo di raccordo tra centrocampo e attacco. Elegante e leggero, creativo e al contempo diligente, il danese è un giocatore unico nel panorama internazionale.

Attorno a lui si alternano vari centravanti, ma nessuno si sogna minimamente di mettere in discussione Laudrup che vince subito lo scudetto segnando la pesantissima rete al Milan che alla penultima giornata del campionato 1985-86 sancisce il tricolore juventino mentre la Roma si suicida, sportivamente parlando, in casa con il Lecce.

In quel 1986 Laudrup corona la sua buonissima annata partecipando al mondiale con la Danimarca, di lui è il leader assoluto assieme a Preben Larsen-Elkjaer, del Verona. Dopo una fase a gironi clamorosa che culmina con la vittoria 6-1 contro l'Uruguay i danesi vengono piegati agli ottavi di finale dalla Spagna.

Nel "Dream Team" del Barcellona

Con la Juventus però finisce abbastanza male, rimane in bianconero fino al 1989 prima di passare al Barcellona allenato di Johann Cruijff, che impazzisce per i giocatori cerebrali come Laudrup. Lo piazza in un tridente in cui l'imprevedibilità è nei piedi educatissimi di Hristo Stoichkov e la fisicità nel corpaccione di Julio Salinas.

Per Michael c'è spazio per i suoi giochi di prestigio con il pallone, la sua capacità di trovare sempre la soluzione migliore al momento opportuno. Arrivano quattro vittorie in fila nella Liga e soprattutto la Coppa Campioni, la prima nella storia del Barcellona: in finale a Wembley nel 1992 contro la Sampdoria gioca con un 9 sulle spalle che non gli appartiene del tutto, visto che gioca più arretrato e non da centravanti. Poco importa, la consacrazione è lì, la sua e quella del "Dream Team" catalano.

In quel 1992 la Danimarca compie una delle imprese più incredibili nella storia dello sport vincendo l'Europeo dopo essere stata ripescata a pochi giorni dal via a causa della cancellazione della Jugoslavia. Tuttavia Michael Laudrup non è presente nella rosa, per aver rotto con il commissario tecnico Richard Møller Nielsen. Alla spedizione invece partecipa suo fratello Brian insieme ai tanti altri eroi per caso di una generazione d'oro.

Quando poi il Barcellona acquista Romario, è il 1994, Michael lascia la Catalunya e passa al Real Madrid, dove vince immediatamente la Liga. Sempre con quel suo stile un po' freddo, magari, non proprio da trascinatore di folle, ma alla fine vincente.

L'ultima sua apparizione pubblica da calciatore è di nuovo con la maglia della Danimarca, è il 1998 e ci sono i mondiali. Lui non è più nemmeno tesserato per un club, ha ormai deciso di ritirarsi dopo l'ultima stagione all'Ajax.

E i danesi per poco non la combinano al Brasile, ai quarti di finale, in quella che è probabilmente la miglior partita del torneo: 3-2 per i Verdeoro, che sfruttano soprattutto le giocate individuali dei suoi fenomeni. Michael è titolare, maglia numero 10, più consona al suo ruolo. Un addio amaro ma per certi versi indimenticabile. 

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