Il magico quadrilatero della Francia di Platini

Il magico quadrilatero della Francia di Platini

Il punto di forza della nazionale che vinse l’Europeo nel 1984 era il centrocampo composto da Le Roi, Fernandez, Giresse e Tigana

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È difficile trovare un campionato europeo più dominato da una singola nazionale (e dal suo giocatore più rappresentativo) come quello del 1984. La Francia, a ventiquattro anni di distanza dalla prima edizione del torneo, torna a ospitarne la fase finale, con il dichiarato intento di farne un manifesto celebrativo del valore del suo calcio. È un bisogno impellente che la nazione sente il bisogno di esprimere. I galletti, infatti, non sono mai stati una potenza del calcio internazionale e la disponibilità di una squadra con giocatori di livello molto elevato sollecita l’opinione pubblica, da sempre sciovinista all’eccesso, a coltivare l’ambizione di vincere, finalmente, una competizione internazionale. Del resto, le premesse per sostenere i pronostici più rosei ci sono tutte: i Bleus arrivano all’Europeo imbattuti da sedici mesi, con un capitano, Michel Platini, Pallone d’Oro in carica. E una squadra che, nella Coppa del Mondo di due anni prima, aveva perso il diritto di giocare la finale del Bernabeu per un mix di presunzione, inesperienza e stanchezza. Una partita, la semifinale contro la Germania Ovest del 1982, sulla quale, però, i transalpini ebbero l’intelligenza di costruire la consapevolezza di una forza che a Euro 84 era pronta a esprimersi pienamente.

Il magico quadrilatero

Oltre alla possibilità di giocare il torneo davanti al pubblico amico, la Francia poteva sfruttare anche l’assenza delle nazionali che si erano classificate davanti a lei nel mundial spagnolo: i campioni del mondo dell’Italia e la Polonia, che aveva sconfitto i transalpini nella finale per il terzo posto, non erano riuscite a qualificarsi. Mentre la Germania Ovest era rimasta intrappolata nel girone, stroncata all’ultimo minuto nella partita contro la Spagna. Ma, più che le assenze, fu la qualità di Platini & C. a strapazzare quell’Europeo. I Bleus si imposero con il maggior numero di gol segnati pur senza avere attaccanti di ruolo particolarmente prolifici. Delle quattordici reti messe a segno, solo l’ultima di Bellone fu firmata da una punta. A secco, quindi, i vari Six, Rocheteau, Lacombe. Il gioco creato dalla squadra del tecnico Hidalgo non aveva bisogno di finalizzatori di ruolo per superare i portieri avversari, potendo avvalersi di un quadrilatero di centrocampisti che produceva calcio come zucchero filato. La tecnica e il dinamismo di Giresse e Tigana, all’occorrenza integrati dal supporto di Genghini, la solidità di Fernandez, l’intelligenza assoluta di Platini, uomo ovunque di quella nazionale, esprimevano un valore qualitativo di stampo brasiliano e una cifra quantitativa di matrice europea che consacrarono con merito, per la prima volta, la Francia come migliore squadra d’Europa. Le loro intersecazioni appagavano gli esteti e disorientavano gli avversari, mai a loro agio nell’arginare gli inserimenti di Tigana, le geometrie di Giresse, la ruvidezza muscolare di Fernandez.

L’Europeo di Michel

Di quel magico quadrilatero, dinamico per vocazione, la punta di diamante, non solo per il valore che rappresentava ma per le posizioni che più di frequente assumeva in campo, era Michel Platini. Di quell’Europeo fu il dominus incontrastato, disponendo a piacimento degli avversari in un gioco di potere tecnico e psicologico che nessuno riuscì a contrastare, come testimoniano i numeri di quell’edizione del torneo. Le Roi vinse la classifica dei cannonieri con nove reti, stabilendo un record a tutt’oggi ineguagliato. Fece gol in ogni partita: da quello che dette la vittoria nel match d’esordio contro la Danimarca alle triplette inflitte a Belgio e Jugoslavia, fino ad arrivare alla marcatura decisiva contro il Portogallo e al primo gol segnato in finale con la Spagna. In particolare, l’azione che salvò la Francia da un pass d’ingresso alla finale da decidere – come due anni prima al mondiale - ai calci di rigore, vide coinvolti i tre quarti di quel reparto siderale: Fernandez con un rilancio dalla propria tre quarti di campo, Tigana con l’affondo verso l’area avversaria, Platini con la stoccata decisiva.

Hidalgo, l’ideologo

La convivenza di quei quattro moschettieri fu il frutto, oltre che del loro innegabile talento, della visione del calcio che aveva il tecnico Hidalgo, per certi verso “l’ideologo” di quella Francia. Amante del bel gioco, riuscì a organizzare la classe di quegli uomini senza imbrigliarla in schemi troppo rigidi, lasciando a loro la possibilità di effettuare le scelte migliori per lo sviluppo della manovra offensiva. A Fernandez, Giresse e Tigana, chiese di seguire sul campo la leadership di Platini, di creargli intorno una trama di palleggi “alla brasiliana” con improvvise verticalizzazioni capaci di affossare gli avversari. Seppe rendere un’opportunità quello che poteva essere un fattore critico: la mancanza di centravanti con elevate capacità realizzative. Alla sua Francia, più che bomber di sfondamento, servivano attaccanti funzionali al dialogo costante con i centrocampisti, all’apertura di spazi per gli inserimenti di cui erano capaci, Platini su tutti. Con quel centrocampo Hidalgo scrisse lo spartito di un calcio champagne che esprimeva bellezza sul campo senza rinunciare all’efficacia che portava alla vittoria. Un’avanguardia tattica che esprimeva principi di gioco che solo oggi hanno trovato una diffusione universale.    

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