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Imponente, statico e sgraziato, ma il centravanti degli anni Settanta e Ottanta sapeva fare bene una cosa: gol. Fu l'eroe dell'edizione dei campionati europei disputata in Italia e decise la finale Germania Ovest-Belgio con una doppietta
Da un po' di tempo c'è una discussione in atto nel mondo del calcio circa l'eventualità di abolire i colpi di testa. A quanto pare possono provocare danni cerebrali, soprattutto nel lungo periodo, e in Scozia la Federazione locale ha deciso di proibirli sotto i dodici anni. Nel calcio di oggi, dominato dalle statistiche, la palla alta verso il centravanti è diventata un'arma sempre più residuale. Le percentuali di successo sono più basse rispetto a quelle di un'azione palla a terra e sono pochi gli specialisti che ancora si cimentano con continuità in quest'antica arte. Oggi impressiona Osimehn, nei Novanta del secolo scorso il top era Oliver Bierhoff, ma forse il più forte di tutti è stato Horst “Hotte” Hrubesch, il “mostro dei colpi di testa”. Nato nel 1951 ad Hamm, una cittadina a nord di Dortmund sprofondata nel panico quando le locali miniere di carbone hanno cominciato a chiudere negli anni Settanta, Hrubesch è entrato solo a ventiquattro anni nel grande calcio, mantenendosi a lungo riparando tetti.
Nessuno pensa che riuscirà mai a diventare un calciatore professionista: è imponente, statico e sgraziato come il Glaselefant, l'enorme elefante d'acciaio e vetro che nel 1984 diventerà la principale attrazione turistica della sua città natale. Il Borussia Dortmund e il Bochum lo scartano ai provini, ma è indubbio che quel ragazzone di quasi un metro e novanta ha un dono: sa fare gol. Nel 1975 decide di dargli una chance il Rot-Weiss Essen – che oggi milita in terza serie, ma in quegli anni era in Bundesliga – e, a sorpresa, il passaggio dal dilettantismo locale al culmine della piramide del calcio tedesco è indolore. Alla sua prima partita in campionato, Hrubesch segna due gol – di testa ovviamente – contro il Bayer Uerdingen e a fine gara chiosa con modestia: “Spero di non svegliarmi da questo bel sogno”. “Hrubesch non riusciva a correre dritto, ma colpiva di testa da venti metri” ha raccontato di lui l'ex compagno a Essen Manfred Burgsmüller, uno dei bomber più prolifici della storia della Bundesliga. Nelle prime due annate, “Hotte” segna trentotto gol in quarantotto partite, ma non sono sufficienti per mantenere la squadra in prima divisione. Il grande calcio, però, si è accorto di lui. Disputa una stagione quasi irreale in Zweite Bundesliga, con quarantadue gol in trentacinque partite, e nel 1978-79 riceve la chiamata dell'Amburgo, con cui vince subito il campionato e addirittura la Coppa dei Campioni del 1982 contro la Juventus. Gioca al fianco di un mito come Kevin Keegan, ma il suo assistman di riferimento è Manfred Kaltz, detto “Manni” famoso per i suoi cross liftati chiamati “banane”. Senza sofismi, Hrubesch aveva bisogno di poche parole per spiegare la tattica dell'Amburgo: “Manni banana, io di testa e goal”.
La nazionale tedesca, la più giovane dell'Europeo, lo convoca per la prima volta nell'aprile 1980 in vista degli Europei da disputare in Italia, ma in tanti criticano la scelta: quella “giraffa” non è all'altezza della nazionale più forte del mondo. Non importa se ha segnato due gol in semifinale di Coppa dei Campioni al Real Madrid – entrambi di testa, ovvio – ci sarà pure un motivo se nella finale persa contro il Nottingham Forest l'allenatore lo ha messo in panchina. Il ruolo di Hrubesch è quello di alternativa ai titolari, Allofs e Rummenigge. All'esordio, la Germania batte 1-0 la Cecoslovacchia, ma il Ct, Jupp Derwall non è soddisfatto e per la sfida decisiva ai vicecampioni del mondo dell'Olanda forma un tridente mettendo il “mostro” al centro. La rivincita della finale di sei anni prima si conclude ancora con una vittoria tedesca. Assoluto protagonista è Allofs, che segna una tripletta, ma Hrubesch si muove bene e conquista la maglia da titolare. Pareggiando con la Grecia, la Germania vince il suo girone e approda in finale contro il sorprendente Belgio, capace di eliminare gli azzurri padroni di casa per la migliore differenza reti.
Era il 22 giugno 1980, a Roma la partita si mette subito bene per i tedeschi e al decimo, su un passaggio di Bernd Schuster, Hrubesch controlla di petto e beffa il portiere belga Pfaff con un destro da fuori area così così, ma che rimbalza un paio di volte cambiando traiettoria prima di entrare in porta. A un quarto d'ora dalla fine, i belgi pareggiano su rigore, ma in area Hrubesch è sempre in agguato e all'ottantottesimo svetta su un calcio d'angolo di Rummenigge – che al suo cospetto ha le sembianze di un'aletta veloce – e consegna ai tedeschi il secondo titolo europeo della loro storia. In Germania si dice che il grande palcoscenico non sia per i nativi della Westfalia, schivi e riservati, così Hrubesch mantiene un basso profilo nonostante la serata da eroe. Se serve non si tira indietro, ma già al Mondiale di Spagna 1982 – dove arriva da capocannoniere in carica della Bundesliga – si mette a disposizione del Ct lasciando il posto di titolare a Littbarski, nove anni più giovane. Riesce ugualmente a essere decisivo: subentra in semifinale con la Francia e firma di testa l'assist per il 3-3 di Fischer e il rigore decisivo per un posto in finale contro l'Italia. Almeno in questo caso, di piede. Oggi allena la nazionale femminile tedesca, dopo aver vinto l'Europeo alla guida dell'Under-19 e dell'Under-21 nel 2008 e 2009. Manuel Neuer, che lo ha avuto come Ct nella seconda esperienza racconta: “Era come un amico, non avevo mai avuto un rapporto del genere con un allenatore prima di allora”. Niente male per un “mostro”.
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