Arconada: El Pulpo e la papera in Francia-Spagna

Arconada: El Pulpo e la papera in Francia-Spagna

Il super portiere spagnolo è stato uno dei migliori del suo tempo, ma suo malgrado è passato alla storia per un errore nella finale di Euro 1984

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Il 29 giugno del 2008, la Spagna ha battuto 1-0 la Germania nella finale dell'Europeo in Svizzera e Austria e sta per salire sul palco per ritirare il suo secondo trofeo continentale. Sono passati quarantaquattro anni dalla prima volta.

Davanti a Michel Platini, presidente dell'Uefa, sfilano uno dopo l'altro i giocatori in festa, e come da copione la leggenda del calcio francese stringe mani e distribuisce medaglie e complimenti. A un certo punto arriva il turno di Andrés Palop, il portiere di riserva, e a guardarlo “le Roi” si illumina, regalandogli un sorriso più spontaneo di quello istituzionale rivolto a tutti gli altri.

Il portiere del Siviglia non è mai sceso in campo, chiuso dal fenomeno del Real Iker Casillas, ma ha voluto omaggiare il suo idolo d'infanzia, che proprio un gol di Platini aveva contribuito a demolire agli occhi di tanti suoi connazionali.

Palop indossa la camiseta di Luis Miguel Arconada, uno dei portieri più forti della storia del calcio, ma criticatissimo dopo un errore all'Europeo 1984 che aveva spianato la vittoria ai transalpini. All'epoca, Palop era un bambino di dieci anni e, in quella lontana serata di giugno, vedendo il suo eroe sconfitto aveva pianto a dirotto.

 

La finale Francia-Spagna

 

Al cinquantasettesimo della finale tra Francia e Spagna, giocata al Parco dei Principi di Parigi il 27 giugno, l'arbitro cecoslovacco Vojtech Christov ha appena regalato una punizione dal limite ai padroni di casa. Arconada fa erigere un muro a difesa della sua porta, allineando sei uomini davanti a sé. Platini è uno specialista assoluto e da quella posizione è spesso una sentenza.

In quel torneo da record, il dieci francese ha già segnato otto volte, compreso un calcio di punizione da distanza simile contro la Jugoslavia che ha sorvolato la barriera con una traiettoria a “foglia morta”. Arconada, nonostante tutto, sembra certo che Michel proverà a sorprenderlo sul suo palo.

In patria lo chiamano “El Pulpo” per la sua capacità di arrivare su ogni pallone quasi avesse tentacoli prensili e i suoi tifosi – i baschi della Real Sociedad – cantano all'Atotxa, lo stadio di San Sebastián: “No pasa nada, tenemos Arconada”.

Agile ed elastico, all'Europeo ha portato di peso una Spagna modesta sino alla finale, la seconda della sua storia, con parate straordinarie. Nel fondamentale 1-0 contro la Germania Ovest, la strafavorita del torneo assieme alla Francia, compie degli autentici miracoli su Allofs, due volte, e Rummenigge. Tutti soli davanti a lui, si sono fatti murare conclusioni potenti e angolate e al novantesimo la Spagna ha tirato fuori dal cilindro il gol decisivo.

A Lione, nella semifinale con la Danimarca, gli scandinavi vanno in vantaggio dopo appena sette minuti: sul colpo di testa del veronese Elkjaer, Arconada toglie il pallone dall'incrocio arrivandoci con la punta delle dita e Soren Lerby segna sulla ribattuta solo perché il portiere è ancora a terra dopo quel volo incredibile. Ma la Spagna ci crede e pareggia, portando la partita ai calci di rigore. Entrambe le squadre segnano i primi due tiri, quindi è il turno di un giovane Michael Laudrup. Arconada lo fissa negli occhi, saltella nervoso sulla riga di porta e poi si tuffa neutralizzando il tiro. Alza il pugno al cielo, ma sente il fischio dell'arbitro e con la mascella serrata per la rabbia gli si getta addosso dandogli uno spintone. Per sua fortuna non ci sono conseguenze, se non quella che ha motivato la chiamata: il rigore va ripetuto.

Laudrup segna, ma il fato ha posato il suo occhio benevolo sulla Roja e, al penultimo tiro, Elkjaer spara in cielo. Grazie al gol di Sarabia, la Spagna è in finale e Arconada viene portato in trionfo.

 

 

Le difficoltà di Arconada

 

Lo hanno criticato perché in nazionale indossa i calzettoni bianchi del suo club al posto di quelli con la bandiera spagnola in dotazione ai compagni. Dicono sia per la sua fedeltà all'Euskadi, la terra basca che si frappone da sempre al centralismo di Madrid, ma per Arconada è solo un modo di rimarcare il legame con la Real Sociedad, gli txuri-urdin, la squadra della sua vita.

Se altri hanno preferito trasferirsi nel ricco Real Madrid o al Barcellona, lui ha sempre voluto rimanere a San Sebastián, portando i suoi a conquistare quattro dei sei titoli complessivi della loro storia, tra cui due Liga. Per tre anni consecutivi, dal 1979 al 1982, conquista il titolo “Zamora” di miglior portiere della Primera División e nel mondo sono in pochi al suo livello.

A Parigi, mentre Platini si appresta a tirare la sua punizione, è ancora il top del torneo, ma si sa che quando sei tra i pali basta un istante per perdere tutto. Una topica può segnare una carriera.

Come aveva previsto Arconada, Platini non prova a superare la barriera per puntare all'angolo di porta lasciato libero – sa che lo spagnolo ci arriverebbe con uno dei suoi formidabili colpi di reni – ma tira a mezza altezza sul suo palo. Nemmeno troppo forte.

Arconada è ben posizionato e si getta a terra per bloccare il pallone tra le braccia e stringerlo al petto, ma come una saponetta umida gli scivola dalle mani e supera la riga. Inutile il suo tentativo di ricacciarlo fuori con un riflesso disperato. Rivedendo la scena anni dopo, per un'intervista alla tv spagnola, il suo sguardo è ancora turbato, il volto tirato: “Non so che dire” commenta.

Lo stesso Platini ha confessato che avrebbe voluto segnare quel gol in un altro modo. Portare la sua squadra alla vittoria senza sacrificare lo scalpo di un avversario così leale e meritevole: “Così fa male”. Per questo quando Palop gli si para davanti con quella maglietta, è così felice.

Per Arconada, che è stato invitato sugli spalti, è un doppio riscatto: la Spagna, finalmente, è tornata alla vittoria e idealmente anche lui è riuscito ad alzare la coppa che gli era sfuggita letteralmente dalle mani.

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