Viaggio nella tattica del calcio: Europei 2008, 2012, 2016 e 2021

Viaggio nella tattica del calcio: Europei 2008, 2012, 2016 e 2021

Dai due trionfi della Spagna fino alla vittoria di Mancini a Wembley, passando per il titolo portoghese

  • Link copiato

Proseguiamo la nostra analisi sull’evoluzione tattica e strategica delle squadre partecipanti agli europei di calcio, parlando delle ultime quattro edizioni che intercorrono tra il 2008 ed il 2020 (in realtà disputata nel 2021), quest’ultima vinta dalla nostra Italia di Roberto Mancini.

 

Austria-Svizzera 2008

 

Nell’anno 2008 sono nuovamente due paesi congiunti (Austria e Svizzera) a ospitare le gare della tredicesima edizione degli europei di calcio. Al nastro di partenza ci sono le solite sedici nazionali divise in quattro gironi formati da altrettante squadre. Dal punto di vista tattico anche questa kermesse conferma che le migliori sedici nazionali d’Europa non utilizzano più la difesa a tre; ormai la distinzione è tra le compagini più innovative che sono solite impiegare un solo terminale offensivo (Germania, Spagna, Russia, Repubblica Ceca, Portogallo, Romania, Olanda) e quelle che invece sono rimaste alla classica coppia offensiva rappresentata dalla prima e dalla seconda punta. Su quale sia stata la disposizione offensiva più performante, l’Europeo si è espresso chiaro: tra le quattro semifinaliste solamente la sorpresa Turchia ha utilizzato la classica coppia d’attacco, mentre le altre tre nazionali (Spagna, Germania, Russia) preferivano spesso lasciare solamente una punta davanti, optando per un centrocampo più folto, spesso diviso in due linee. La squadra vincitrice è la “grande incompiuta” del calcio europeo, ovvero la Spagna, che dopo il gioco fisico e muscolare esibito nella prima metà degli Anni Ottanta e per tutti gli Anni Novanta, sotto la gestione del mitico Luis Aragones, è tornata a proporre il classico canovaccio del calcio spagnolo, ovvero tanto possesso palla e gioco orizzontale per vie centrali. Sarà questa nazionale a coniare il termine tiqui-taca, volto a evidenziare dei fraseggi in orizzontale cadenzati e spesso monotoni. Però la Spagna vince con pieno merito questo titolo, esibendo anche dei picchi di gioco corale di assoluto valore. La peculiarità della Roja è rappresentata dal centrocampo estremamente folto: davanti alla difesa opera come metodista Marcos Senna, che deve coprire i fitti ghirigori di quattro centrocampisti con caratteristiche da mezzala di possesso (Xavi, Fabregas, Iniesta, David Silva); davanti c’è quindi solo una punta (Torres) che deve essere bravo a scattare in verticale e sorprendere gli avversari, dopo la monotonia del possesso palla spagnolo. Al secondo posto c’è la rinata Germania che, sotto la gestione di Joachim Löw, ha deciso di cambiare volto dopo decenni di calcio fisico e difensivo. Il primo passo è stato quello di abolire la difesa a tre, un classico canovaccio del calcio teutonico fin dai primissimi Anni Ottanta, in favore della difesa a quattro. In secondo luogo la Mannschaft si schiera con un centrocampo a cinque, con una sola punta di ruolo (Klose); la mediana però conta su giocatori molto fisici (Frings, Schweinsteiger, Ballack), segno che quella Germania è ancora ancorata a un calcio ibrido, non ancora contaminato dai principi del tiqui-taca come quella del decennio successivo degli Anni Duemila. Applica il 4-5-1 anche la grande sorpresa di questa rassegna europea, ovvero la Russia del “mago” olandese Guus Hiddink, forse la squadra che ha mostrato il gioco più bello nel torneo, con pressing e triangolazioni veloci. Il modello di gioco “olandese” prevede una sola torre offensiva (Pavlju?enko), supportata alle spalle da tanti centrocampisti con Aršavin e Semšov a fungere da suggeritori in una sorta di 4-3-2-1. L’altra grande sorpresa, la Turchia dell’“Imperatore” Fatih Terim, battuta dalla Germania in semifinale, si schiera con un sistema di gioco ancora più ardito di quello russo: un 4-3-1-2 che è tale solo sulla carta, in quanto l’unico centrocampista difensivo è Mehmet Aurélio e davanti al brasiliano naturalizzato, giostrano infatti come mezzali/mezzepunte Gökdeniz, Tümer ed Arda Turan, con Nihat e Tuncay a fungere da terminali offensivi. Non è stato un europeo positivo per l’Italia campione del mondo in carica: gli azzurri, allenati da Roberto Donadoni, sono stati eliminati dalla Spagna ai quarti di finale, ma per tutto l’europeo hanno mostrato un bel gioco solo a sprazzi e una certa confusione tattica. Il tecnico bergamasco ha iniziato la sua avventura con il 4-3-3, subito abortito dopo lo 0-3 subito dall’Olanda; poi, dopo un intermezzo di 4-2-3-1, dalla terza partita contro la Francia, Donadoni ha optato per il 4-3-1-2 con la novità tattica rappresentata da Perrotta, schierato come finto trequartista davanti ai tre mediani, un ruolo che ha ricoperto con successo nel suo club (la Roma). Una ricetta che non è servita a fermare lo scatenato tiqui-taca della Spagna.

 

Polonia-Ucraina 2012

 

L’ultima edizione di un europeo a sedici squadre si è disputata nuovamente in due paesi congiunti: Polonia e Ucraina. Dal punto di vista degli schieramenti di gioco, domina il 4-2-3-1, utilizzato da ben sei compagini (Danimarca, Germania, Grecia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca), mentre poche sono le nazionali che utilizzano le due punte (Croazia, Inghilterra, Italia, Svezia, Ucraina), con le restanti che invece adoperano il 4-3-3 o suoi derivati (4-5-1, 4-3-2-1, 4-1-4-1). Le novità tattiche più grosse, però, arrivano dalle due squadre finaliste e per due motivi quasi opposti: la Spagna, vincitrice del torneo e l’Italia, sconfitta dopo aver subito una severa lezione dagli spagnoli (4-1) nella finale di Kiev. La selezione iberica, allenata da Vicente del Bosque, presenta all’Europeo con un modulo assolutamente inedito e mai ripetuto, che ha portato il tiqui-taca ad estreme conseguenze: un 4-6-0 puro con un tridente d’attacco composto da tre centrocampisti (David Silva, Fabregas ed Iniesta). L’Italia di Cesare Prandelli, invece, rispolvera la difesa a tre: un dispositivo difensivo che in Europa non era in voga fin dai primi Anni Duemila e che, invece, nel calcio italiano continua ad essere utilizzato con frequenza dalle squadre di vertice (Juventus e Napoli). In realtà Prandelli utilizza il 3-5-2 solamente nelle prime due partite, per poi optare per una difesa a “tre e mezzo” con Chiellini terzino bloccato a sinistra e Abate fluidificante a destra, in una teorica linea a quattro. L’altra novità apportata dal C.T. azzurro riguarda la disposizione del centrocampo: nel rombo, infatti, Montolivo agisce sia da trequartista “tattico” come schermo sul regista basso avversario, ma anche come secondo costruttore di gioco al fianco del vertice basso Pirlo; davanti l’Italia resta fedele alla classica coppia prima e seconda punta (le due “teste matte” Balotelli e Cassano). Questa tattica di gioco ha funzionato alla perfezione contro nazionali dal gioco lineare come Inghilterra e Germania (eliminate dagli azzurri rispettivamente ai quarti ed in semifinale), mentre contro una Spagna che schierava almeno quattro creatori di gioco, una tattica del genere non ha decisamente funzionato. La Germania di Joachim Löw, beffata ancora una volta dalla maggior agilità della selezione italiana, si schiera con il 4-2-3-1, confermandosi una squadra ancora dall’identità ibrida, sospesa tra la qualità e la tecnica dei vari Podolski, Klose e Özil in attacco e la fisicità di giocatori come Khedira, Schweinsteiger e Thomas Müller. Il risultato è quello di una squadra dall’identità ancora non definita, che si è sciolta sul più bello. Il Portogallo, infine, eliminato ai calci rigore in semifinale dalla Spagna, si schiera con un 4-3-3 che in realtà è un 4-1-4-1 abbastanza delineato, in quanto le due mezzali João Moutinho e Raul Meireles giocano spesso allineate ai due esterni Nani e Cristiano Ronaldo. I lusitani hanno pagato per l’ennesima volta la presenza di una prima punta di scarsa incisività sotto rete (Hélder Postiga) e la solita atavica sfortuna nei momenti clou, che sarà abbondantemente ripagata nell’edizione successiva.

 

Francia 2016

 

Nel 2016 l’europeo di calcio torna ad essere ospitato dentro i confini di una sola Nazione, ovvero l’esagono francese. È il primo Campionato europeo “maxi” della storia del calcio, con ben ventiquattro squadre ai nastri di partenza, organizzate in sei gruppi da quattro formazioni l’uno: passano le prime due classificate per ogni girone, più le quattro migliori terze; un meccanismo non lineare, ma fondamentale in questa rassegna perché, solo grazie a questo regolamento, il Portogallo ha potuto laurearsi campione d’Europa, dopo essere finito terzo nel Gruppo F dietro a Ungheria ed Islanda e quindi potenzialmente eliminato in tutti i precedenti tornei. Dal punto di vista dello schieramento di gioco continua a prevalere il 4-2-3-1, adottato da ben nove squadre (Austria, Belgio, Croazia, Germania, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Svizzera, Ucraina) mentre Italia e Galles sono le uniche vessillifere del 3-5-2. Per il resto la maggior parte delle selezioni nazionali, soprattutto quelle più accreditate per la vittoria finale, non hanno un sistema di gioco fisso: la parola d’ordine del nuovo calcio è quello di essere il più possibile flessibili e camaleontici, con i rigidi sistemi di gioco lineari che incominciano ad apparire desueti. Il Portogallo, campione a sorpresa di quest’edizione, ai danni dei padroni di casa della Francia, ha utilizzato un 4-4-2 vagamente asimmetrico con la coppia centrale di centrocampo formata da William Carvalho e Adrien Silva, che non gioca mai perfettamente in linea con il primo giocatore che si va ad infilare spesso in mezzo ai due centrali portoghesi. Sulle fasce Renato Sanches e João Mário assicurano copertura, ma anche buon palleggio con l’ala Nani che parte da centravanti di movimento, mentre Cristiano Ronaldo è pronto ad infilarsi in mezzo, partendo defilato. Un Portogallo quindi più pratico ed operaio, molto meno bello da vedere rispetto alle edizioni passate, ma finalmente cinico ed efficace sotto porta. Pure la Francia di Didier Deschamps, che similmente ai lusitani, ha abbandonato il classico “calcio champagne” per un gioco più diretto è muscolare, ha adottato un sistema di gioco assai mobile, che è difficile rappresentare schematicamente. Il centrocampo dei galletti è infatti asimmetrico con la fascia destra che è presidiata dal mediano Sissoko, che tiene spesso la posizione, mentre a sinistra Payet gioca più dentro il campo per permettere le sovrapposizioni del terzino sinistro Evra allo scopo di avere un’arma in più sul fronte offensivo, al fianco della classica coppia Giroud-Griezmann. Ha adottato un modulo più flessibile anche la Germania, sconfitta in semifinale proprio dalla Francia. Il C.T. Joachim Löw, invece del tradizionale 4-2-3-1, opta per un più flessibile 4-3-2-1 con Schweinsteiger vertice basso, Kroos e Can interni di centrocampo, Özil e Draxler mezzepunte alle spalle del finto centravanti Thomas Muller; quello mostrato dai tedeschi è una versione ancora più estremista del “tiki-token”, fatto vedere con successo al mondiale vinto in terra brasiliana due anni prima. Infine, il Galles, la grande sorpresa di questo europeo, eliminato a sorpresa in semifinale, come abbiamo già visto, è l’unica squadra ad utilizzare la difesa a tre, assieme all’Italia, anche se quella gallese è una vera e propria difesa a cinque, se non addirittura ad otto giocatori (se si considerano anche i tre mediani di centrocampo), con il suo unico fuoriclasse Bale a fare da elastico a tutto campo tra la difesa e l’unica punta Vokes. Infine veniamo all’Italia di Antonio Conte che tutto sommato ha ben figurato nonostante una formazione di mediocre cifra tecnica rispetto ad altre edizioni passate. Gli azzurri mettono in mostra un 3-5-2 molto solido che fa della grande tenuta atletica e delle ficcanti ripartenze in velocità verso le due punte Pellè-Eder le sue armi migliori. In realtà, in questo caso, il sistema di gioco è applicato in modo flessibile dagli azzurri, in quanto l’esterno destro di centrocampo (Candreva) viene spesso sgravato da compiti difensivi rispetto a quello di sinistra (Darmian), che invece resta bloccato al fianco dei tre difensori centrali Barzagli-Bonucci-Chiellini (la famosa BBC). Il 3-5-2 italiano, quindi, spesso si può trasformare 4-4-2 asimmetrico, specie in fase di non possesso palla. Non è un caso che la Germania, che nei quarti di finale ha sconfitto gli azzurri solamente ai calci di rigore, abbia deciso di schierarsi a specchio per bloccare l’assoluta anomalia tattica rappresentata dalla nostra Nazionale.

  

Europa 2021

 

Finora l’unico Europeo disputato per la prima volta in modalità itinerante, in undici città (Londra, Roma, Siviglia, Monaco di Baviera, Amsterdam, Copenaghen, Baku, San Pietroburgo, Budapest, Bucarest) dall’11 giugno all’11 luglio del 2021 posticipato di un anno a causa dell’emergenza Covid-19, ha visto il trionfo a sorpresa della Nazionale italiana, nel bel mezzo di uno dei periodi più bui della nostra storia calcistica, che ha visto gli Azzurri mancare alla fase finale di due mondiali consecutivi. Com’è stato quindi possibile il miracolo compiuto dalla squadra di Roberto Mancini? La risposta può avere anche una lettura sul piano tattico: come quello del 2016, anche questo europeo ha visto un grande rimescolamento di carte, per quanto riguarda le tattiche ed i sistemi di gioco. Un dato lampante riguarda l’utilizzo della difesa a tre, su ventiquattro squadre al via il 3-5-2 o il più innovativo 3-4-2-1 (di fatto un’evoluzione del vecchio 3-4-3) vengono utilizzati da ben undici nazionali, sia di alto lignaggio che di più modesta caratura (Belgio, Danimarca, Finlandia, Galles, Germania, Macedonia del Nord, Olanda, Polonia, Scozia, Svizzera, Ungheria). Calano, invece, a cinque le squadre che utilizzano il 4-2-3-1, sistema di gioco egemone negli Anni Dieci del secolo attuale. L’Italia è stata perfetta nell’approfittare di questa situazione di “confusione”, utilizzando una strategia di gioco tanto camaleontica, quanto redditizia. Il 4-3-3 scelto da Mancini è tale solo sulla carta: in fase di possesso, si forma spesso una difesa a tre, con il terzino destro Di Lorenzo che resta infatti quasi sempre bloccato al fianco degli altri due centrali Bonucci e Chiellini. Il primo agisce quasi sempre in seconda battuta, da libero staccato, mentre il secondo affronta spesso in marcatura la punta centrale avversaria; sulla fascia sinistra, invece, il terzino Spinazzola ha il compito di spingere continuamente sulla propria corsia di competenza, aggiungendosi agli attaccanti. Se in difesa l’Italia è impostata in maniera tradizionale, a centrocampo e in attacco Roberto Mancini ha saputo puntare sull’innovazione, con un doppio play-maker (Verratti-Jorginho) ad alternarsi nella costruzione del gioco, per favorire gli inserimenti del tutto campista Barella, che si aggiunge spesso a Spinazzola nelle incursioni offensive. Davanti, il centravanti Immobile gioca spesso di sponda per i centrocampisti ed il movimento a tagliare da parte dell’esterno alto di sinistra Insigne, mentre sulla fascia destra Chiesa (o Berardi) agiscono più sull’ampiezza. Un’Italia che mostra, quindi, soddisfacenti trame di gioco, alternando il fraseggio corto a rapide triangolazioni, ma che sa anche resistere strenuamente in trincea, come accaduto nella seconda parte del quarto di finale contro il Belgio e nella semifinale contro la Spagna. L’Inghilterra di Gareth Southgate, sconfitta ai calci di rigore dagli azzurri proprio a Wembley, invece, è una formazione più lineare, che si schiera con un 4-2-3-1 scolastico, con due mediani puri (Rice e Phillips) a coprire le tre classiche mezzepunte (Saka, Mount e Sterling), dietro al centravanti di manovra Kane. L’esito è una squadra che ha buoni spunti individuali, ma che gioca in maniera troppo farraginosa per vie centrali, secondo i canoni di un “guardiolismo” riletto in chiave britannica. La Spagna di Luis Enrique, insidiosissima contro l’Italia in semifinale, è una squadra assai mobile, che pratica un tiqui-taca quasi parossistico, sullo spartito di un 4-3-3 assai flessibile che, però, mostra una certa difficoltà in fase realizzativa, specie contro avversari esperti e ben chiusi in difesa. Infine, la Danimarca, la grande sorpresa di questo europeo, è una squadra che ha sfruttato al meglio l’impatto emotivo per il malore capitato alla sua stella Eriksen nella partita d’esordio contro la Finlandia. I danesi si compattano in un 3-4-2-1 granitico, nel quale il portiere Kasper Schmeichel e il centrale Kjaer giocano un ruolo fondamentale nel dare sicurezza alla retroguardia.

 

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Loading...





















Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi