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Due squadre in carriera, Sampdoria e Juventus, emblema di un calcio che non c'è più: agli attaccanti avversari ha impedito centinaia di gol e lui non ne ha mai segnato nemmeno uno
Per quelli come lui ci sarebbe voluta una specie di almanacco all'incontrario; sarebbero servite pagine e pagine sulle quali annotare tutte le occasioni in cui aveva impedito a questo o quel centravanti, si chiamassero Gigi Riva o Roberto Boninsegna, di concludere a rete lo spunto per la conclusione che si erano creati.
Quel tipo di almanacco, chiaramente, non esiste; esistono però le mille testimonianze di tutti gli attaccanti che in chissà quante occasioni pensarono di avergli preso il tempo e averlo anticipato per battere a rete, quando invece poi nell'istante successivo si ritrovavano una tibia, una rotula, un gomito o qualcos'altro di lui che impediva loro il tiro in porta, o che lo deviava.
Francesco Morini da San Giuliano Terme, arcigno come tutti i pisani, provincia compresa; venuto alla luce in un'Italia già mezza liberata e biondo quasi come quei tedeschi che continuavano a perdere terreno. Ai tedeschi avrebbe continuato ad assomigliare anche una volta cresciuto, con la chioma chiara fluente ma educata nel taglio, come prevedeva il minimo sindacale del protocollo bonipertiano nella real casa bianconera, anche se persino Madama negli Anni Settanta scendeva un po' a patti con la moda hippy che in Olanda Cruijff e compagni avevano istituzionalizzato anche fra i calciatori.
Leve lunghe e uno slancio nel profilo che ne facevano una specie di Sigfrido, ma con l'accento del Conte Ugolino e in effetti, come il potentissimo nobiluomo pisano che Dante colloca nel suo Inferno, Morini si rivelava famelico nell'azzannare, a metà tra metafora e senso letterale, lo spazio a disposizione della punta avversaria che si trovava a controllare. Tanto elegante nella figura, quanto sgraziato pur di cercare la massima efficacia possibile nel contrasto, in quella scienza imperfetta che all'epoca era l'uno contro uno della marcatura a uomo. Non c'erano né il VAR, figurarsi, né le inquadrature "dedicate", quasi morbose che oggi ci rivelano quanto un difensore abbia irritato il pelo incarnito di un attaccante. Nel calcio di Morini e dei suoi contemporanei, quello che ci era dato di vedere era forse un terzo di ciò che si verificava in campo: quel che accadeva nel miglio verde delle aree di rigore, nel miglio restava.
Era arcigno, duro al limite del regolamento ma non preventivamente cattivo; si affidava al suo senso dell'anticipo che gli proiettava i tacchetti un battito di ciglia avanti rispetto alle intenzioni di chi cercava la "sua" porta: quella della Sampdoria prima, quindi quella della Juventus.
Uno stopper antico e, per l'epoca in cui ha giocato, moderno al tempo stesso: marcatore arcigno come quelli delle epoche precedenti, atleta futuribile per statura e reattività delle fibre muscolari.
In blucerchiato arrivò quindicenne, imberbe e con i capelli ancora cortissimi; come professionista sarebbe rimasto a Genova dal 1963 al 1969, poi undici anni di Juventus, 377 presenze per un palmarès che conta cinque scudetti, una Coppa Italia e la prima storica coppa europea del club bianconero, ovvero la Coppa UEFA 1976-77. Una volta lasciata la Juve, fu tra i primi a concedersi un'esperienza all'estero, con i Toronto Blizzard, nel 1980.
Dal 1981, tornato a Torino, era entrato a far parte della dirigenza bianconera ricoprendo più ruoli fino al 1994, da quello di direttore sportivo a quello di team manager, lungo tutto l'ultimo tratto dell'era caratterizzata dalla presidenza di Boniperti.
Non mise mai a segno un gol, nelle partite ufficiali, né in blucerchiato né in bianconero e nemmeno nelle undici presenze in maglia azzurra. Ne tolse a centinaia a tutti quelli che se li erano sentiti già in tasca.
A giocare d'anticipo con uno così poteva essere soltanto il destino, che lo ha sorpreso con un attacco cardiaco il 31 agosto del 2021, durante una cena a Forte dei Marmi, forse mentre stava raccontando ancora una volta di tutte le botte date e prese nel cuore di tutte quelle aree di rigore, laddove ogni attaccante sapeva che prima o poi sarebbe andato a sbattere contro Francesco Morini.
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