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Il 29 aprile 1998 nella finale di Coppa Italia la Lazio iniziò a vincere e a dominare:
poi uno scudetto e 5 trofei
"Grazie Sven, mi hai reso un bambino felice”. In questo stendardo, esposto allo Stadio Olimpico il giorno in cui Sven Goran Eriksson tornò a salutare i tifosi della Lazio, prima dell’ultima giornata dello scorso campionato contro il Sassuolo, c’è l’essenza di un sentimento che i tifosi biancocelesti hanno cullato nel tempo e che è esploso in maniera ancora più sentita dopo gli ultimi, tragici eventi. Il rapporto tra i tifosi laziali ed Eriksson è stato forte, intenso ed emozionante. Lo svedese viene ricordato come l’artefice principale di un cambiamento epocale nella storia del club romano.
Con Eriksson la Lazio ha toccato vette mai sfiorate nella sua storia centenaria: ha dominato in Italia e in Europa e ha regalato emozioni ancora oggi indimenticabili per tutti i tifosi. Sven Goran Eriksson è l’allenatore più vincente della storia della Lazio. Ha portato a casa uno scudetto, una Supercoppa europea, sconfiggendo in finale il Manchester United che veniva considerato invincibile; ha vinto un’edizione della Coppa delle Coppe, due Coppe Italia e due Supercoppe italiane. Oltre ad aver sfiorato un altro scudetto e una Coppa Uefa (arrivando in finale). Tutto nel giro di tre stagioni e mezzo: le più esaltanti della storia biancoceleste.
Ha cambiato la storia, convinto gli scettici, trasformato il suo soprannome da “perdente di successo” a “splendido vincente”. Ma soprattutto, è stato in grado di entrare nel cuore della gente. Sven li ha conquistati con naturalezza e semplicità, il suo marchio di fabbrica. Durante le partite casalinghe, era solito rispondere ai cori della Curva Nord alzandosi in piedi e salutando con affetto; nelle sue dichiarazioni non perdeva mai la calma e la lucidità, anche quando la situazione sembrava compromessa. Ha iniziato a costruire la squadra dei sogni sin dall’estate del 1997, quando Cragnotti lo portò a Roma. «Mi compri Mancini, Mihajlovic e Veron e vincerò lo scudetto», disse al patron biancoceleste. Cragnotti lo accontentò subito con il numero dieci (che arrivò con lui dalla Sampdoria) e in seguito portò nella Capitale anche il difensore serbo e il fantasista argentino. Lo scudetto arrivò al termine della terza stagione e dopo un cammino che partì dal successo in Coppa Italia contro il Milan.
Il 29 aprile del 1998 la Lazio di Sven Goran Eriksson torna a riaprire la bacheca dopo ventiquattro anni, portando a casa la sua seconda Coppa Italia: il primo titolo da quando Sergio Cragnotti è salito al timone del club. La finale d’andata a Milano viene ancora oggi ricordata come una delle gare più sfortunate della storia biancoceleste: dopo aver dominato la scena e sfiorato più volte il gol (soprattutto con Casiraghi e Mancini), i biancocelesti subiscono la rete rossonera allo scadere. E in un modo rocambolesco: Weah, sfruttando un rinvio del proprio portiere, si presenta davanti a Marchegiani, e lo batte in uscita. All’Olimpico gli uomini di Eriksson riescono a ribaltare il risultato grazie a una vera e propria impresa: sotto di una rete (punizione di Albertini), ne segnano tre in meno di un quarto d’ora, con Gottardi (mossa a sorpresa di Eriksson), Jugovic e Alessandro Nesta. Ancora oggi molti tifosi ricordano quel successo contro il Milan come una vera e propria liberazione. Eriksson e la sua squadra hanno riaperto la bacheca biancoceleste, regalando ad almeno due generazioni di laziali la prima vittoria dopo anni difficili.
L’inizio di una cavalcata eccezionale. Eriksson batte Capello, che poi affronterà in numerosi derby della Capitale, e alza al cielo con orgoglio il suo primo trofeo biancoceleste: che replicherà a distanza di quattro mesi, battendo la Juventus nella finale di Supercoppa italiana a Torino. Poi arriveranno la Coppa delle Coppe (ultima edizione del torneo internazionale), la Supercoppa europea nella emozionante notte di Montecarlo, quando la Lazio sconfisse il Manchester United di Sir Alex Fergusson, e lo scudetto. La mano di Eriksson è stata fondamentale per la conquista di quel titolo. La sua saggezza e la sua lucidità emersero nel trambusto finale di stagione, quando i biancocelesti rischiavano di ripetere la delusione dell’anno precedente (quando sul finale vennero beffati proprio dal Milan). Alla vigilia dell’ultima giornata, mentre i tifosi laziali preparavano la marcia di protesta dopo il gol annullato a Cannavaro durante Juventus-Parma, che sembrava spalancare ai bianconeri le porte dello scudetto, Eriksson era uno dei pochi che sembrava crederci: «Abbiamo ancora una partita, nel calcio tutto può accadere», ripeteva come un mantra. Ha avuto ragione.
La sua Lazio conquistò il titolo, entrando a pieno titolo nella storia del club. «Non ho mai allenato una squadra più forte di quella», ha ricordato più volte. Anche l’ultima volta che mise piede allo Stadio Olimpico e con il microfono in mano salutò i tifosi. Ha preparato tutti all’addio, come preparava le gare più importanti dalla panchina: con calma, lucidità e senza farsi prendere dall’isterismo. Ci ha insegnato ad affrontare gli avversari in campo e nella vita, con rispetto e dignità. Sven Goran Eriksson resterà per sempre il tecnico più vincente della storia biancoceleste. E una delle figure più amate dal pubblico romano.
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