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Un lungo viaggio nel calcio, da porta a porta. Uno scudetto a Firenze da protagonista, uno a Roma da "chioccia" di Tancredi
Continuò a metterci la faccia anche quando aveva quasi smesso di metterci i guanti: questa definizione non può non piacere a Franco Superchi, alla soglia degli ottant'anni che compirà domani; uno che negli ultimi scampoli di carriera si era meritato "Paul Newman" come soprannome, più le tempie si striavano di fili bianchi, più la somiglianza con la star holliwoodiana diventava percepibile. Nelle sue ultime stagioni, quelle trascorse alla Roma come secondo di Franco Tancredi, il modo di sorridere in particolare faceva sembrare simile al grande attore. Somiglianze a parte, nel caso di Superchi era anche la giustificata espressione di un portiere maturo che, se si voltava indietro a riconsiderare tutte le stagioni disputate in carriera, non poteva non ritenersi sodisfatto e appagato per il tratto di strada che nel calcio aveva percorso. Ecco perché in quell'ultimo spaccato di carriera disputato in maglia giallorossa, il fatto di non giocare quasi mai non intaccava per nulla il suo carisma, né la sua importanza all'interno di uno spogliatoio affollato da capi carismatici e profili caratteriali piuttosto eterogenei.
Nato ad Allumiere, in quella porzione di territorio laziale a nord di Roma che trasforma le sirene del porto di Civitavecchia in echi di reminiscenze etrusche; in una cittadina che deve il suo nome alla presenza di cave di allume di rocca nei dintorni. Era il primo giorno di settembre del 1944, in un'Italia spezzata in due dalla progressione degli Alleati che ricacciavano indietro, risalendo, l'occupazione tedesca. Erano tanti, se non tutti, i ragazzini che all'epoca avevano nelle partitelle in strada l'unico sfogo possibile alle frustrazioni della miseria indotta dalle stagioni della Ricostruzione dopo i rovinosi anni di guerra; erano pochissimi quelli che prendevano confidenza con la porta. Superchi era uno di questi e che si trattasse non di una preferenza ma di una vocazione ci volle poco a capirlo.
Dopo qualche torneo vinto nel circondario di Allumiere, a quindici anni sale il primo gradino: il Bettini Quadraro, società che di embrioni di grandi giocatori se ne intendeva, come testimoniano le storie di Francesco Rocca e Francesco Graziani. A proposito di Graziani, a intersecare la parabola sportiva di Superchi non c'è soltanto il Ciccio nazionale (e mondiale) con quel cognome: c'è anche Ivan, il cantautore mai troppo ricordato e celebrato, per come intonava con il suo inconfondibile falsetto "Firenze lo sai...". Firenze lo seppe, in effetti, perché la dirigenza della Viola, dopo che Superchi aveva continuato a mettersi in luce con il passaggio alla Tevere Roma, non se lo fece sfuggire, tesserandolo nel 1965.
Superchi nei primi anni a Firenze è giovane, può fare anticamera anche se le doti sono evidenti, a livello di reattività, fisicità esplosiva, presenza tra i pali. Dopo essere stato il vice di Ricky Albertosi fino all'estate del 1968, la partenza del baffuto titolare per Cagliari (dove Albertosi vincerà il Tricolore del 1970) comporta la promozione di Superchi a portiere titolare della Fiorentina. Mai momento fu più propizio: l'estremo difensore di Allumiere al primo anno da "guardiano"dei gigliati vince lo scudetto, il secondo e fino a ora ultimo della storia fiorentina. In viola Superchi, oltre al massimo trofeo in ambito nazionale, vince anche una Coppa Italia, una Coppa Mitropa e la Coppa di Lega Italo-inglese. Nell'estate del '76, dopo undici stagioni in viola, "Paul Newman" va al Verona, dove si tratterrà per quattro campionati, nell'alternanza tra A e B. Nell'estate del 1980 passa alla Roma, dove sa che gli toccherà fare più che altro la chioccia per Tancredi. In un modo o nell'altro, formalmente vince il suo secondo scudetto nella Capitale, oltre a due Coppe Italia, ossia quella del 1981 e quella del 1984, che è anche il trofeo con il quale saluta la Roma. Nelle due stagioni seguenti, Superchi difende la porta del Civitavecchia, in Serie C2. Un lungo viaggio, per un destino riconosciuto presto e sempre coccolato fra i guanti.
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