Quando la Champions League si chiamava Coppa dei Campioni

Quando la Champions League si chiamava Coppa dei Campioni

Storie di partite al mercoledì, dirette in radio e tivvù tutto il pomeriggio, tempi eroici quando le italiane dominavano ed eravamo il campionato più bello del mondo

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La chiamavano Coppa Europea delle Squadre Campioni, con eccesso di maiuscole e un evidente vizio di sintesi. Era il 1955 e il Milan, prima italiana qualificata nella prima edizione, esordiva a San Siro contro la squadra che rappresentava il Protettorato della Saar – territorio tedesco controllato dalla Francia dal 1947 al 1955 – il Saarbrücken, oggi in Dritte liga, la terza divisione tedesca. Era l'esordio delle competizioni europee moderne, tanto che la coppa delle Fiere, antenata dell'Europa League, nacque lo stesso anno. Il Milan campione in carica cominciava a mettere i primi mattoncini di quel Dna europeo che lo caratterizza. Almeno secondo i suoi apologeti. Senza cinque infortunati, il “Pompierone” Nordahl incluso, ma con il ventitreenne Cesare Maldini con il numero due e il “Barone” Liedholm con la fascia di capitano, il Milan aveva perso 3-4 dopo essere stato sopra 3-1. Ma per fortuna avevano inventato le partite di ritorno. Con tre gol nell'ultimo quarto d'ora, il Milan – stavolta Nordahl-munito – aveva ribaltato il risultato, frantumando poi gli austriaci del Rapid Vienna nei quarti, con un 7-2 in casa, e poi fermandosi in semifinale con il Real Madrid di Di Stefano, Gento e Zarraga, che poi avrebbe alzato la prima di tante, forse troppe, coppe dalle grandi orecchie. Anche se all'epoca il trofeo era più slanciato, con il collo lungo e due orecchie nemmeno così grandi, forse solo un po' a sventola, tipo quelle del principe Carlo nelle vecchie maschere di carnevale. Le merengues di Santiago Bernabeu, il presidente, non ancora lo stadio, in finale avevano piegato il forte Stade Reims di un tale conosciuto come Raymond Kopa, ma nato Kopaszewski, che l'anno dopo passerà proprio con i blancos per aiutarli a vincere altre tre coppe dei Campioni. E siamo a quattro. Segno che se ormai, con la nascita della nuova Champions League a girone unico, tante cose sono cambiate, una resta sempre uguale: la vincono sempre loro.

I primi anni delle coppe europee

Nel 1956-57, il successo della prima edizione, con finale a Parigi, già aveva fatto lievitare il numero dei partecipanti da 16 a 22, con un primo turno di qualificazione asimmetrico tra otto squadre “minori” – incluse Borussia Dortmund, Athletic Bilbao e Manchester United – e il solito Real Madrid campione. Battendo in finale la Fiorentina. Si era quindi passati a ventiquattro – finalista il Milan e Real ancora campione – e poi gradualmente si era arrivati a trenta, nel 1962-63, l'anno della prima vittoria italiana con il Milan, e trentuno nel 1963-64, il primo dei due titoli della Grande Inter di Herrera, quando solo i campioni in carica erano esonerati dal primo turno di qualificazione, i sedicesimi. Si giocava di mercoledì, sempre o quasi, e di giorno perché l'illuminazione negli stadi era qualcosa di complicato. La Coppa delle Fiere, che dopo due curiose edizioni triennali si cominciò a giocare ogni anno dal 1960-61, presto divenne un appuntamento del martedì, mentre la neonata Coppa delle Coppe (sempre del 1960-61), che premiava le vincitrici delle coppe nazionali – e che nel duemila è ignominiosamente scomparsa – divenne abbonata del giovedì più tardi. All'epoca poteva essere di mercoledì, come di martedì o il giovedì. La più grande stranezza, tuttavia, a guardarla con gli occhi di oggi, era che una stessa squadra poteva giocare più competizioni: ad esempio, il Barcellona e gli ungheresi dell'Ujpest giocavano in Coppa dei Campioni e Coppa delle Fiere; Stella Rossa e Dinamo Zagabria in Coppa delle Fiere e Coppa delle Coppe. All'inizio l'Uefa rischiava di non essere nemmeno coinvolta nell'organizzazione del torneo – più per pigrizia che per altro – ma allora come oggi quando i club proposero di riunirsi sotto qualche sigla privata da Nyon qualcuno si alzò e disse: “Lasciate stare, quella è roba nostra”. Le squadre oscillavano tra le trentatré e le ventisette del 1968-69 – secondo titolo per il Milan contro il Celtic – con i grandi cicli da tre coppe di fila dell'Ajax e del Bayern Monaco negli anni Settanta, dopo che nel decennio precedente aveva regnato l'incertezza. Con il Real campione solo nel 1965-66.

Dal periodo inglese all'Heysel e il Milan di Sacchi

Poi venne il tempo delle squadre inglesi, dal più blasonato Liverpool di Keegan – sempre secondo il punto di vista odierno – a underdog come il Nottingham Forest del mito Brian Clough e l'Aston Villa di... come abbia fatto a battere il Bayern Monaco di Rummenigge, Breitner e Hoeness è ancora oggi un mistero. A metà degli anni Ottanta, finalmente, arrivò di nuovo il momento delle italiane, con la vittoria insanguinata della Juventus all'Heysel di Bruxelles, che costò trentanove vite e le coppe europee per cinque anni alle squadre inglesi, e poi il Milan di Sacchi a fare doppietta in mezzo a veri e propri memento della Guerra fredda, come la Steaua Bucarest di  Duckadam, campione nel 1985-86, o la Stella Rossa di Savicevic, Mihailovic e Pancev, vincitrice nel 1990-91 a Bari appena prima della dissoluzione della Jugoslavia.

Il passaggio da Coppa dei Campioni a Uefa Champions League

Nel 1992-93 il torneo cominciò a chiamarsi Uefa Champions League, che suonava meglio con gli sponsor, cominciando quella serie interminabile di cambi di formato che ci ha portato fino a oggi. Prima sono arrivati i gironi di qualificazione, come ai Mondiali, e la cosa piaceva a tutti. Poi si è aperto alle seconde classificate, alle terze, alle quarte e quindi, oggi, persino alle quinte e la cosa è cominciata a piacere solo agli amministratori delegati delle grandi squadre, che in questo modo avevano più occasioni di guadagnare, e meno a quelli dei team che restavano fuori. E si impoverivano. L'Italia non vince dal 2010, l'anno del Triplete di Mourinho, e nelle ultime quattordici edizioni ha collezionato appena tre finali, tutte perse: la Juventus due volte e una l'Inter di Inzaghi, due edizioni orsono. Ora si gioca martedì e mercoledì, alla sera o alle diciotto, e l'unica cosa che sembrava dover restare immutata – anche se negli anni è stata ritoccata più volte – era la musichetta ispirata a Händel che dal 1992 suonava e suona prima dell'inizio delle partite. Quella è sempre piaciuta proprio a tutti, ma forse è per questo che ci hanno messo mano di nuovo. Ve ne accorgerete?

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