Marco Macina, quello più forte di Mancini

Marco Macina, quello più forte di Mancini

Coetaneo e compagno di squadra del "Mancio" nelle giovanili del Bologna, il talentino si è perso, mancando la consacrazione anche nel Milan

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Quali sono i talenti sprecati del calcio italiano? Tutti si affretteranno a dire Mario Balotelli, che pure qualche stagione ad altissimo livello l'ha giocata. Pure in nazionale. O addirittura Antonio Cassano, che se possibile s'è tolto soddisfazioni anche più grandi di Super Mario, seppure al di sotto di capacità che a diciotto anni sembravano senza confini.

Guardando più indietro si potrebbero ricordare Gianni Comandini, Roberto Baronio, Domenico Morfeo o persino Gigi Lentini. Ognuno di loro può dire, chi più chi meno, di aver comunque lasciato un segno importante nella storia della serie A. Chi in una partita decisiva, chi con una carriera sotto le aspettative ma comunque dignitosissima.

C'è un giocatore più di altri, tuttavia, che ancora oggi è ricordato con rimpianto da chi lo ha visto in campo da ragazzino, o in qualche allenamento con la prima squadra: Marco Macina. Quello che “era più forte di Mancini”, suo coetaneo del 1964 e compagno di squadra nelle giovanili del Bologna.

 

1981 sotto le torri bolognesi

 

Macina esordisce in A, appena diciassettenne, nel novembre 1981, nel Bologna sciagurato che subirà la prima, sanguinosa retrocessione in B della sua storia e in cui ha affrontato la carriera da professionista pure Mancini. Con risultati agli antipodi.

Uno di Jesi, l'altro da San Marino, i due “cinni” legano nella foresteria rossoblù, arrivando a conquistare lo Scudetto Allievi del 1982, vinto nonostante le due stelle fossero già parte integrante della prima squadra. Macina strabilia tutti con i suoi numeri in dribbling, saltando l'uomo con facilità ridicola e mostrando da subito una caratteristica che appartiene solo ai grandi campioni e che qualche anno dopo farà dire a Liedholm: «È più veloce con la palla al piede che senza». Mancini gioca titolare in A quasi ogni domenica e a fine campionato realizzerà nove gol in più di quello che al tempo era considerato il suo “gemello” ma che, per la cronaca, in appena qualche spezzone non ne segna nemmeno mezzo.

Nell'estate del Mundial di Spagna, tuttavia, Macina vince la prima edizione dell'Europeo Under-16, segnando come Tardelli in finale contro la Germania, ma di quella nidiata, che sarà uno dei primi serbatoi della fortissima Italia dei Mondiali delle “Notti magiche”, lui sarà solo una meteora.

 

Mancio alla Samp, Macina in B

 

Mancini passa con aspettative altissime nella squadra che ha segnato buona parte della sua carriera, la Sampdoria. Macina, invece, segue i rossoblù in B ma anche tra i cadetti del suo talento non si vedono che modesti sprazzi, schizzi di colore alla Jackson Pollock che inondano di luce la tela, ma di cui quasi nessuno può dire di capirci poi molto. Ma è forte o no?

A novembre vince con gli Azzurrini il prestigioso Trofeo di Montecarlo e viene premiato miglior giocatore della competizione, ma in attesa del responso sulle sue reali qualità, a febbraio viene sospeso dalla sua squadra di club “a tempo indeterminato”. È stato visto al Club 37, una discoteca nel centro di Bologna – dove “non si perde neanche un bambino”, Lucio Dalla dixit – contravvenendo alle rigide disposizioni societarie.

La cessione di Mancini aveva spinto Radice a non firmare con i rossoblù, ma qualsiasi allenatore si sieda in panchina – addirittura tre in quel 1982-83, Perani, Carosi, Cervellati – le certezze sono quelle della stagione precedente: la squadra può fare a meno di Macina, che colleziona appena 17 presenze tra campionato e coppa Italia, con appena due gol, e l'ambiente è talmente corrosivo che il Bologna è di nuovo retrocesso.

Dicono abbia un “carattere molto difficile” e che la Roma lo abbia opzionato. Tuttavia, con i proprietari del suo cartellino in C1, il giovane fenomeno – ormai quasi “vecchio” se si guarda agli exploit di Mancini – viene mandato in prestito in B, all'Arezzo, allenato da Antonio Valentin Angelillo, ma di nuovo non funziona: 11 presenze e solo due da titolare.

Il Bologna torna in B, il detonatore del talento di Macina, come in una bomba a orologeria, sta scandendo gli ultimi tic toc prima dell'esplosione, e nel gergo sarebbe cosa buona, o in attesa che qualcuno tagli il filo rosso. E in quel caso sarebbe tutto finito.

 

Macina al Parma e poi Milan

 

Stagione 1984-85, Macina va in prestito al Parma e in una buona annata, con tre reti di cui una da ex un pochino avvelenato contro il Bologna, riesce a mettersi in mostra e ad attirare l'attenzione di Liedholm. Il Barone se lo vede apparire davanti all'esordio in Coppa Italia il 22 di agosto – assist dell'1-0 – e il Milan lo opziona. In estate Macina passa in rossonero, nel più meraviglioso dei lieto fine in cui il vecchio saggio riconosce la classe e la promuove permettendole di esplodere. «Potrei essere la spalla ideale per Hateley» dice alla presentazione l'ormai quasi ventunenne, ma non va nemmeno stavolta.

Prima di un Milan-Torino del 19 ottobre 1985 il centravanti inglese torna infortunato dalla nazionale, ma il Barone non si scompone e dichiara ai giornali: “Abbiamo Macina. In pratica non si allena da un anno e mezzo, ma adesso lo vedo bene in palla”. In Emilia ha sofferto per misteriosi “dolori inguinali” poi rivelatisi pubalgia, ma nessuno si era curato di provare con degli antinfiammatori. Dettagli.

Presentandolo al grande pubblico, Alberto Costa sul “Corriere della sera” lo definisce il “terzo straniero” del Milan e “miracolato e dribblomane”. Che detta così sembra un mezzo insulto. Dopo quella gara, vittoriosa ma non eccelsa, Macina giocherà in A da titolare solo un'altra volta, a Lecce, in un Milan quadripunta con Paolo Rossi, Hateley e Virdis. Poi due presenze da subentrato e stop.

“Virdis diceva che dovevo imparare a giocare più per la squadra” e forse lui non lo impara a dovere o forse non ne ha il tempo. Le luci della ribalta si spengono, a fine stagione torna in C1, alla Reggiana, e alla quarta giornata si rompe il crociato. I medici ci mettono due mesi a capire che non si tratta di una semplice distorsione e di colpo finisce tutto. Qualcuno taglia il filo rosso, che forse era proprio quel legamento o forse l'ultima speranza di farcela. Il detonatore del talento viene disinnescato una volta per tutte.

Termina il contratto con il Milan e Macina sta fermo un anno, perché nessuno vuole pagare un indennizzo ai rossoneri, come si usava allora, per una testa calda e per giunta rotto. Aspetta chiamate che non arrivano e alla lunga decide di lasciar perdere e di giocare solo qualche partita con la maglia azzurra, stavolta del San Marino. Di certo, lì un talento come il suo non nasce proprio tutti i giorni. O forse solo ogni sessant'anni.

 

 

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