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L’ex bomber azzurro, campione del mondo nel 1982, ha segnato 23 reti in Nazionale compresa quella contro il Belgio a Roma
Ciccio Graziani ha vissuto tante vite. Una dietro l’altra. La più bella probabilmente l’ha vissuta con la maglia dell’Italia addosso. L’azzurro della Nazionale lo emoziona ancora oggi, perché fa parte della sua storia, del suo essere, della sua carriera. In realtà c’è anche qualcosa di più: è una questione di attaccamento, di sentirsi parte di qualcosa che va al di là di tutto. Sono state tre le grandi avventure con l’Italia per Graziani: esordisce nel 1975 a Roma nella sfida contro la Polonia, per poi partecipare al Mondiale in Argentina del 1978, agli Europei del 1980, ma soprattutto alla vittoria della Coppa del Mondo del 1982. Il bilancio personale recita 64 presenze e 23 gol: la media è più di una rete ogni tre partite. Un bottino da attaccante top, impreziosito da una splendida marcatura realizzata contro il Belgio. Era un’amichevole, si giocava all’Olimpico nel 1977. Graziani protegge palla mettendoci il fisico e poi scavalca Piot con un pallonetto morbido. Avanguardia. Perché da quella posizione il portiere avversario (poi stranamente a segno su rigore) si aspettava probabilmente un tiro di potenza. L’Italia alla fine vince 2-1 quel test invernale. Graziani incrocia il Belgio anche tre anni dopo, agli Europei, sempre all’Olimpico di Roma: la porta, stavolta, però, è stregata perché la contesa finisce 0-0 e non permette agli Azzurri di accedere alla finalissima. Contro pronostico fanno festa Pfaff e compagni.
Graziani, se lo ricorda quel gol all’Olimpico?
«Non in maniera nitida, è passato un po’ di tempo (sorride, ndr). Ma segnare con l’Italia ha sempre avuto un significato speciale, anche se era un’amichevole. Ricordo il portiere Piot, molto stravagante, giocava con dei guanti enormi».
Era forte il Belgio in quel periodo?
«Si trattava di un’ottima squadra, con grandi calciatori. Erano, dal punto di vista tattico, i più evoluti. Il calcio totale l’hanno inventato loro, l’Olanda ci è arrivata qualche anno dopo. In quella rosa mi ricordo bene Gerets, un terzino che ha militato nel Milan».
Passiamo allo 0-0 degli Europei. Una ferita aperta?
«Meritavamo assolutamente di vincere. Su Causio c’era un rigore solare, ma l’arbitro ci è passato sopra. Forse era condizionato dall’ambiente dell’Olimpico, dal fatto che eravamo noi a ospitare la manifestazione. Ripeto: l’arbitraggio è stato allucinante. Non siamo passati in finale per colpa della differenza reti. Un vero peccato».
Che rapporto ha avuto con la Nazionale?
«Per me era il massimo dal punto di vista professionale e sportivo. Sentire l’inno e vedere gli stadi strapieni mi riempiva il cuore».
La concorrenza era spietata…
«Fino alla fine non sapevi mai se eri convocato o no. Lo scoprivi all’ultimo minuto. Essere tra i migliori 22 era ogni volta una grande soddisfazione e, in seconda battuta, faceva comodo».
In che senso?
«Giocare con l’Italia ti permetteva di avere un’immagine più grande. Non esistevano mica i social all’epoca. Il contratto si discuteva ogni anno e quindi, se facevi parte del giro azzurro, potevi pretendere qualcosa in più».
Nell’Italia di oggi è tornato il senso di appartenenza?
«Con Mancini prima e Spalletti poi la situazione è migliorata. Prima di loro alcuni giocatori si inventavano infortuni per non andare o comunque non erano felici. La convocazione era diventata una rottura di scatole».
Spalletti le piace sotto questo aspetto?
«Con Luciano non si sgarra. Ti taglia le gambe se ti vede con la testa da un’altra parte. E se ne accorge sempre».
Gli Europei però non sono andati bene.
«Spalletti ci ha messo del suo, c’era confusione tattica, ma alcuni giocatori chiave, penso per esempio a Barella e Dimarco, sono arrivati stanchi all’appuntamento».
Ha fiducia nell’Italia?
«Tanta. In Nazionale non si allena più. Devi selezionare e mettere in campo la migliore squadra. Non devi fare l’allenatore, però è fondamentale mettere i giocatori nel loro ruolo naturale. Di Lorenzo non può fare il centrale se è un terzino. Spalletti ha fatto autocritica, ha capito gli errori, ha capito che si sbaglia una volta e non due. Quindi è ripartito benissimo in Nations League».
Battere Francia e Israele non era scontato.
«Ora c’è uno spirito diverso. Conta questo. I risultati potevano non arrivare, ma sono arrivati. Meglio così».
Italia-Belgio è alle porte. Che partita si aspetta?
«Senza Lukaku perdono molto in attacco e noi siamo più tranquilli, ma resta una squadra molto temibile».
Chi può essere l’uomo in più?
«Retegui. Perché ha iniziato la stagione all’Atalanta con il piede giusto, segnando quasi sempre. In questo momento è il nostro miglior attaccante».
Le scelte lì davanti non sono così tante…
«Il problema esiste e non da oggi. Non riusciamo più a produrre attaccanti capaci di fare la differenza in ambito internazionale. A questo si aggiunge il fatto che Scamacca sta fuori per un brutto infortunio».
Le novità comunque non mancano.
«Non vedo l’ora di vedere all’opera sia Maldini che e Pisilli. Sono la parte bella del calcio. Ragazzi in gamba che si stanno mettendo in mostra in campionato. Questa nidiata di giovani mi convince davvero».
E cosa non convince?
«L’unica nota negativa, francamente, è la mancata convocazione di Zaccagni e Gatti perché stanno facendo benissimo con le maglie di Lazio e Juventus. Non mi spiego questa doppia esclusione».
L’Olimpico può diventare un’arma anti-Belgio?
«Certamente. I colori, la passione e l’entusiasmo dei tifosi sono sempre straordinari. In tutti gli stadi si respira un’atmosfera di festa quando scende in campo l’Italia. A Roma forse un po’ di più. L’Olimpico trasmette degli stimoli incredibili, che possono fare la differenza nei momenti più complicati della partita».
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