Lo spirito “Champions” di Gheorghe Hagi

Lo spirito “Champions” di Gheorghe Hagi

Si rivelò al mondo prima contro l’Inter in Coppa Uefa, poi in amichevole con la Roma fino a quando piegò la Dinamo Kiev nella Supercoppa Europea. Ecco la storia del "Maradona dei Carpazi" e gli anni d'oro del calcio rumeno

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Il 16 aprile 1983 allo stadio “23 agosto” di Bucarest lui non c'era. Quando ha battuto l'Italia campione del Mondo di Bearzot nelle qualificazioni all'Europeo, di fatto estromettendola dal torneo, la Romania sta vivendo la sua età dell'oro calcistica – nel paese più povero d'Europa – ma Gheorghe Hagi ha solo diciotto anni.

Ha appena concluso la sua stagione d'esordio in massima serie con il Farul Costanza, ma in una Romania che usa il calcio come arma di distrazione di massa il talento è un'arma a doppio taglio. Hagi cade nella rete dei due figli del Conducator Ceausescu, Valentin in quota Steaua Bucarest e Nicu che controlla lo Sportul Studenesc, e finisce nelle spire secondo. Perdendo di fatto l'occasione di giocare e vincere la finale di Coppa dei Campioni 1986 contro il Barcellona.

Nicu è un donnaiolo incallito, un giocatore d'azzardo e un ubriacone che mette in costante imbarazzo suo padre, costretto a pagare i suoi debiti usando i soldi dello stato, ma riconoscere il talento di Hagi non è complicato e presto se ne accorge anche l'Italia.

Dopo aver piegato l'Inter all'andata dei trentaduesimi di finale di coppa Uefa 1984-85, facendo ammattire Bergomi, attira su di sé l'interesse di più di un club di serie A. La Fiorentina strappa un'opzione, ma anche Roma e Juventus sono sulle sue tracce. Il Ct Lucescu, nel frattempo, l'ha promosso capitano della nazionale e un po' tutti cominciano a chiamarlo “Regele”, il re.

Dopo due titoli di capocannoniere consecutivi, con 20 e addirittura 31 reti – anche se il secondo lo conquista grazie ai sei gol segnati all'ultima giornata contro un avversario “morbido”, soprattutto dal punto di vista politico – a gennaio 1987 Hagi passa con i campioni d'Europa in carica dello Steaua.

 

 

 

La “prima” volta in Italia

 

La sua partita d'esordio? Un'amichevole al Flaminio contro la Roma di Eriksson il 12 febbraio 1987, disputata su un campo fangoso e al limite della praticabilità. Con il magro incasso complessivo di sette milioni di lire, forse gli organizzatori avrebbero potuto rimborsare i rumeni per le spese di soggiorno all'albergo di Follonica in cui avevano passato la notte, ma pure in una sfida “inutile e noiosa”, così la commenta il Corriere, Hagi regala meraviglie.

Nonostante il suo metro e settantaquattro i giornali italiani non smettono di definirlo “centravanti”, forse basandosi sulle medie realizzative più che sull'osservazione diretta, materia complessa in quegli anni oscuri e privi di internet, ma quell'ennesima dimostrazione di classe sembra solo l'antipasto del suo sbarco nel campionato più bello del mondo.

Ufficialmente Hagi è solo in prestito alla Steaua, in vista della finale di Supercoppa Europea che si giocherà il 24 febbraio 1987 al Louis II di Montecarlo, ma sanno tutti che Nicu dovrà rinunciare alle sue pretese sul giocatore ora che è passato nelle mani della squadra di papà.

Sotto una pioggia fastidiosa e di fronte a uno stadio semivuoto prendono posto il principe Ranieri III, Hans-Peter Briegel della Samp e all'incirca 8000 monegaschi dall'aria annoiata, scandalizzati dai quattrocento chiassosissimi tifosi rumeni che hanno potuto permettersi un biglietto che costa varie annate dello stipendio medio di un connazionale. La fortissima Dinamo Kiev del Pallone d'oro Belanov, che indossa un'insolita maglia numero due, viene messa nel sacco dalla Steaua. Hagi e compagni si difendono a oltranza, come accaduto nella finale di coppa dei Campioni con il Barcellona, poi colpiscono con il loro nuovo fenomeno, al suo esordio ufficiale. Sul finire del primo tempo, Hagi segna il gol decisivo con una delle punizioni fulminanti che lo renderanno famoso, nell'occasione deviata da Kuznjecov. La Fiorentina gongola.

A fine maggio Eriksson passa sulla panchina viola e per dare fantasia chiede l'acquisto del tedesco Olaf Thon, ma il Bayern spara alto e così la dirigenza si ricorda di quell'opzione su Hagi e prova a farla valere. Il giocatore, però, è proprietà unica ed esclusiva dello stato rumeno, che sotto i ventisei anni non permette a nessuno di trasferirsi all'estero. Gheorghe ne ha solo ventidue e sebbene si dica “disponibile, ammesso che mi lascino partire” dai piani alti gli rispondono che per almeno tre anni non se ne parla. L'anno dopo pure una maxi offerta di Agnelli, cinque miliardi più varie fabbriche FIAT da impiantare in Romania, viene rispedita al mittente.

Messo alle strette Hagi fa di necessità virtù e prova a vincere con la Steaua un'altra Coppa dei Campioni. Il regime ringrazia. Nel 1988 i rumeni vengono fermati solo dal Benfica in semifinale, mentre l'anno successivo raggiungono l'ultimo atto della competizione, ma l'avversario che si trovano davanti non è dei più agevoli: il Milan di Sacchi, Van Basten e Gullit.

Il 24 maggio 1989, al Camp Nou di Barcellona, finisce 4-0 per i rossoneri, ma ormai il regime non se la passa più benissimo. In Romania tutto sembra ancora immobile, sotto l'occhio vigile della Securitate, ma si sta preparando una rivoluzione.

A dicembre cominciano le proteste. Ceausescu e la moglie Elena vengono arrestati a Natale e subito giustiziati e anche Nicu e Valentin finiscono in cella. Si racconta che nella città natale del Conducator, Scornicesti, l'odio spinse la gente a disseppellire i crani dei suoi genitori per giocarci a calcio.

 

 

Real Madrid, Brescia, Barcellona e Galatasaray

 

Per Hagi, come per tutto il paese – anche se come ogni rivoluzione anche quella rumena andrà incontro a un'immediata reazione – significa finalmente libertà e così il Re comincia un pellegrinaggio in giro per l'Europa. Passerà al Real Madrid, al Brescia con Lucescu – addirittura in serie B – al Barcellona del suo idolo Cruijff e quindi al Galatasaray, che condurrà a un'incredibile vittoria nella Coppa Uefa del 2000. Con la Romania al Mondiale di USA '94 mostrerà i suoi colpi migliori, arrivando quarto al Pallone d'Oro, ma la sua classe immensa non basterà mai o quasi a compensare la sua scarsa continuità. Gli anni Ottanta, dittatura o meno, resteranno per sempre il suo momento d'oro. Come per il calcio rumeno.

 

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