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Max ricorda la doppia vittoria contro gli ucraini in Champions: "Roma bellissima, quel 4-1 senza il capitano fece storia"
Abnegazione, sacrificio, testa sulle spalle e corsa. Max Tonetto è stato il prototipo di giocatore che ogni allenatore avrebbe voluto in squadra. Non è un caso se a 31 anni, quando la maggior parte dei giocatori iniziano a intravedere il tramonto della carriera, lui fa il grande salto nella Roma dopo aver chiuso la parentesi al Lecce e alla Sampdoria. Così si ritrova come compagni di squadra gente come Francesco Totti e Daniele De Rossi nel primo mandato di Luciano Spalletti, tecnico che lo aveva già allenato ai tempi dell’Empoli. Quella era una Roma formato Champions League, che giocava a memoria e quindi risultava divertente da vedere. "Ma era divertente anche giocarci", sottolinea con un sorriso l’ex terzino giallorosso. Uno scudetto sfiorato all’ultima giornata, due edizioni della Coppa Italia messe in bacheca, oltre a una Supercoppa. E poi tante soddisfazioni in Europa. Dal colpo al Santiago Bernabeu a quello contro il Lione, che all’epoca era una corazzata come il Psg dei giorni d’oggi. Tra le battaglie anche la doppia sfida vinta contro la Dinamo Kiev. Tonetto c’era, sia all’andata all’Olimpico (2-0) che al ritorno in Ucraina (1-4). Stava sulla fascia sinistra a spingere, ma anche a disegnare cross decisivi, perfetti, con i giri giusti. Merce rarissima vedendo come questo fondamentale sia diventato un optional nel calcio moderno.
Tonetto, si aspettava la chiamata della Roma?
"Ero andato in scadenza con la Sampdoria e questo aveva un peso specifico. Avevo diverse possibilità sul tavolo: mi volevano Lazio, Fiorentina e appunto la Roma. Tutte squadre con impegni in Coppa Uefa o Champions League. Sinceramente non ho mai avuto dubbi. Ho scelto il progetto della Roma perché mi voleva Luciano Spalletti che mi conosceva da tempo".
Come è stato l’impatto con la città?
"Ero già grande e avevo una base di esperienza. Ma l’impatto con Roma l’ho sentito perché è un mondo completamente diverso: si respira e si parla di calcio 24 ore al giorno, anche quando fai la spesa al supermercato. Insomma, ce l’hai sempre addosso. Sono stati quattro anni intensi".
Cosa pensa di Spalletti?
"L’ho vissuto in due fasi: quando era molto giovane e si stava formando in casa all’Empoli e poi alla Roma, dopo che aveva fatto gavetta. Io sono arrivato nel suo secondo anno, archiviato il blocco del mercato. Non mi sorprende vederlo adesso sulla panchina dell’Italia dopo lo scudetto vinto meritatamente con il Napoli. Io ho avuto anche Ancelotti come allenatore alla Reggiana, ma reputo Luciano il migliore in assoluto perché riesce a coniugare la gestione del gruppo con il suo carattere forte insieme alla bravura di plasmare la squadra in base alla sue idee. Non ha un modulo standard e riesce sempre a ricavare il meglio dai giocatori che ha a disposizione".
La Roma era una macchina perfetta…
"Sapevamo cosa fare con la palla e soprattutto senza palla. Giocavamo a memoria, era divertente vedere che quello che provavamo in allenamento veniva replicato nelle partite. E poi c’era Totti: se sei bravo ad attaccare gli spazi la palla giusta ti arrivava".
Tre secondi posti in campionato. Cosa è mancato per scrivere la storia?
"Nulla. Con l’Inter abbiamo fatto dei percorsi paralleli. A mezz’ora dalla fine del campionato lo scudetto era nostro. I dettagli però hanno fatto la differenza all’ultimo giro: Ibrahimovic a Parma ha realizzato una doppietta e la questione si è chiusa mentre giocavamo a Catania. Il calcio è così".
In giallorosso ha segnato un solo gol. Se lo ricorda?
"Certo, contro l’Empoli, sfruttando l’assist di tacco di Totti".
Tanti invece assist. Alcuni speciali: contro il Real per Taddei, ma anche per Perrotta di fronte alla Dinamo Kiev.
"Bellissimi i ricordi in Champions League, a Madrid e non solo. All’Olimpico andò in scena un infinito fraseggio tra centrocampo e attacco, poi la palla finì tra i piedi di Aquilani, io arrivai sul fondo e il cross forte trovò la testa di Simone che al solito arrivò per primo. La Dinamo Kiev era una squadra tosta".
Al ritorno in Ucraina addirittura il poker.
"Per di più senza Totti. Non c’era e dovevamo trovare un nuovo equilibrio. Giocai alto e Cassetti come terzino sinistro. Vucinic fu devastante".
La difesa della Roma era ricca di talento: c’erano Panucci, Mexes, Juan e Chivu. Chi era il più forte?
"Avevo un debole per Chivu, forse perché stava accanto a me. Aveva i piedi di un centrocampista e difendeva alla grande".
La Roma sta faticando. Che succede?
"La percezione è che ci sia confusione sotto l’aspetto societario. Non vedo chiarezza".
Il cambio De Rossi-Juric come lo giudica?
"È stata una sorpresa, nessuno se lo aspettava e sinceramente non me lo spiego. Ripensando alla rosa e al calcio di Juric mancano delle caratteristiche. Tanti giocatori vogliono la palla tra i piedi e pochi fanno movimenti senza palla. Questo è il problema di fondo, anche se ci sono elementi come Koné e Pisilli, ragazzi capaci di lottare sulle seconde palle e di attaccare gli spazi".
Un consiglio per Zalewski?
"Deve stare calmo e ritrovare la serenità perché le qualità non gli mancano. Contro l’Inter è stato sfortunato: un errore ha macchiato una buona prestazione".
Roma-Dinamo Kiev è alle porte. Come andrà a finire?
"Bisogna vincere per forza dopo il passo falso in Svezia. Non penso che la Roma possa permettersi di pensare solo al campionato lasciando andare l’Europa League".
La fascia da capitano di Pellegrini quanto pesa?
"Deve andare avanti. Lorenzo ci mette sempre la faccia. Ha anche reagito bene in campo. Gli manca solo una scintilla. Non è facile prendere il posto di Totti e De Rossi, ma lui ha le qualità per ricoprire un ruolo tanto bello quanto difficile".
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